movimenti giovanili
Ken in crescita a Torino
Beatrice Hirsch, Chiara Levi, Diego Bongiovanni, Massimo Franceschi. Questi i nomi dei quattro giovani che a Torino, senza proclami e senza clamore, dimostrano ogni settimana con il loro lavoro e con i risultati che il futuro della minoranza ebraica italiana non è affatto segnato. “Ebrei lontani, comunità in declino, dispersione dei giovani, crisi delle scuole”: sono espressioni molto note a tutti coloro che hanno responsabilità e prendono decisioni in ambito ebraico, ma la realtà dei movimenti giovanili parrebbe avere molto da obiettare.
A Torino, in particolare, la crescita del Ken Degania, la “base operativa” locale dell’Hashomer Hatzair pare essere inarrestabile, e il numero di ragazzi in partenza per il campeggio estivo – sono ventidue, un gruppo che non comprende tutti coloro che ogni settimana si incontrano e fanno attività insieme – ha quasi dell’incredibile. Oltre ai quattro già citati madrichim, che pur essendo minorenni si sono fatti carico della totale responsabilità del gruppo, a frequentare il ken ci sono una quindicina giovani che frequentano gli ultimi anni delle medie e la prima liceo un’altra quindicina di ragazzini di quinta elementare e prima media. Una partecipazione attiva e entusiasta che non si verificava da una ventina d’anni, con numeri più che triplicati rispetto a tre anni fa. Un’altra caratteristica che rende il Ken Degania un laboratorio da osservare con attenzione è la sua trasversalità: è l’unico gruppo giovanile di carattere nazionale (e internazionale) attivo a Torino, e vi confluiscono ragazzi che si riconoscono nelle tante sfaccettature dell’ebraismo, così come alcuni ragazzi che si sono avvicinati in quanto allievi della scuola ebraica, pur non essendo iscritti alla comunità. Ma una volta indossata la chultzà shomrit – la camicia azzura che è una sorta di divisa del movimento le decisioni e le attività sono condivise, e la mediazione ha portato a un gruppo di amici forte e coeso, che sa rispettare le differenze di ognuno e che è stato capace di organizzarsi per trasformare ogni differenza in una ricchezza. A ottobre, all’inizio delle attività, i “grandi” del gruppo sono passati alla scuola ebraica presentando il programma e incontrando anche i genitori, una scelta che ha avvicinato sei nuovi “chanichim”, i giovani, che sono in un certo senso anche gli “apprendisti” in un movimento che li porta ad assumersi man mano nuove responsabilità. Già a fine novembre erano diventati otto, abbastanza per diventare un nuovo gruppo, una kwutzà vera e propria, con un nome e un inno, cosa che non succedeva da almeno dieci anni. I più grandi dopo essere usciti dalla scuola ebraica (che a Torino è attiva dalla materna alle medie) si sarebbero potuti allontanare, dispersi in scuole diverse, ma sono stati capaci di non dividersi e hanno tutti scelto di continuare a partecipare alle attività con costanza e grande impegno, riproponendo anche per l’anno appena chiuso l’esperienza forse più importante dei movimento, quell’essere di esempio e sostegno ai più giovani, con una assunzione di responsabilità che nel caso di Torino è anche più importante, data l’assenza di un adulto “responsabile” del movimento. Compagni di gioco, di discussione, ideatori e guida nelle attività, pronti a ridere ma anche a essere un po’ severi quando diventa troppo il caos dovuto alla presenza della trentina di ragazzi compressa in uno spazio che è diventato decisamente troppo piccolo, Beatrice, Chiara, Diego e Massimo sono un esempio dell’ebraismo che non si arrende e che è capace di inventarsi e reinventarsi quando le risorse sono scarse. Hanno organizzato settimanalmente attività nella natura, discusso su cittadinanza, pace, terrorismo, lavoro di squadra, ebraismo e ideali, partecipato a iniziative insieme ai ragazzi del gruppo di Milano, senza mai trascurare la scuola. Insieme tutto il gruppo si è travestito per Purim, organizzato uno spettacolo su Pesach, ha ricordato le vittime del terrorismo in Israele, ascoltato testimonianze per Yom HaZikaron, festeggiato Yom HaAtzmaut e parlando della storia e della nascita dello Stato di Israele. Positive anche all’esterno del movimento le ricadute del lavoro fatto da tutto il gruppo: in collaborazione con l’Arevà hanno organizzato una serata di Purim per tutti i bambini della Comunità con giochi, baracconi, premi e caramelle che ha avuto un enorme successo, e una notte bianca, la prima “Laila lavan” dell’Hashomer a Torino, che ha coinvolto più di quaranta ragazzini della scuola in una notte di divertimento ma anche di educazione e discussioni appassionate. Non è mancato l’impegno, partecipando a conferenze i cui contenuti sono stati poi discussi nell’attività settimanale, e portando il proprio contributo a una serata in ricordo di Sergio Valabrega, ex shomer e membro della Comunità ebraica di Torino fino a pochi anni fa. E ora tutti i pensieri sono rivolti al campeggio estivo, grande occasione di ritrovo e condivisione che contribuisce a forgiare amicizie solide e durature, dove verranno discussi ancora più profondamente i problemi che il gruppo dovrà fronteggiare il prossimo anno: essere così numerosi ha reso inutilizzabile l’attuale sede, e aumentato ancora il carico di responsabilità che i più grandi hanno sostenuto con grande determinazione con il sostegno solo del responsabile di Milano, Yahal e con l’aiuto dell’arevà Aurora, entrambe situazioni che probabilmente non sono destinate a durare. Una vera e propria crisi di crescita, che pur essendo fonte di grande preoccupazione per Beatrice, Chiara, Diego e Massimo è la dimostrazione che l’ebraismo italiano è vivo e ben determinato a non dar retta a chi sostiene il contrario.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(24 giugno 2016)