Monaco 72, terrorismo ai Giochi Undici vite israeliane spezzate
Erano le 4 del mattino del 5 settembre del 1972 quando otto membri di Settembre nero, l’organizzazione terroristica affiliata all’Organizzazione di liberazione palestinese (il cui leader era Yasser Arafat) entrò nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera, dove erano in corso i Giochi. Indisturbato, il commando palestinese irruppe nella palazzina destinata alla delegazione israeliana, uccidendo subito due atleti israeliani (Moshe Weinberg, allenatore di lotta greco-romana, e Yossef Romano, specializzato nel sollevamento pesi, che avevano tentato di fermarli) e sequestrandone altri nove (i pesisti David Berger, Zeev Friedman, l’arbitro di lotta greco-romana Yossef Gutfreund, il lottatore Eliezer Halfin, l’allenatore di atletica leggera Amitzur Shapira, l’allenatore di tiro a segno Kehat Shorr, il lottatore Mark Slavin, l’allenatore di scherma André Spitzer e il giudice di sollevamento pesi Yakov Springer).
Erano anni caratterizzati dal terrorismo dei fedayn, i miliziani dell’Olp impegnati a colpire le strutture civili israeliane e dei paesi considerati alleati dello Stato ebraico. Dirottamenti, attentati, rapimenti erano diventati una prassi per i fedayn, che in questo modo ottennero l’attenzione internazionale. Nel suo libro sulla storia d’Israele, Claudio Vercelli sottolinea come in quel periodo, e grazie anche al terribile attentato di Monaco, il terrorismo palestinese riuscì ad affermarsi a livello internazionale come soggetto politico. Israele, d’altra parte, cercò di non dare questa legittimità politica ai terroristi, come dimostra la scelta di Golda Meir di non trattare con il commando di Monaco. Un’ora dopo l’irruzione infatti i terroristi palestinesi iniziarono le trattative: su due fogli lanciati dal balcone chiesero la liberazione di 234 palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane e di due terroristi tedeschi, e pretesero tre aerei per lasciare la Germania. Fissarono un ultimatum alle 9:00 del mattino. Se Israele e Meir dissero no alle trattative non così i tedeschi che si trovarono legati a sempre nuove richieste con l’ultimatum rimandato di ora in ora. Da Gerusalemme era arrivata l’offerta di far intervenire una squadra del Mossad – il capo dei servizi segreti israeliano Zvi Samir si recò direttamente sul luogo ma fu ricevuto con una certa ostilità dalle autorità locali – ma la Germania rifiutò.
Come racconta Il Post in una ricostruzione fatta nel quarantennio della strage, “era sera quando si decise di far salire i terroristi con gli ostaggi su due elicotteri atterrati nel piazzale del villaggio olimpico per trasferirli alla base aerea di Furstenfeldbruck e da lì, come da loro richiesto, farli partire con un aereo per Il Cairo. Verso le 22.30 gli elicotteri con gli ostaggi atterrarono alla base: scesero i quattro piloti e i sei terroristi. Due di loro corsero subito a ispezionare l’aereo, ma si accorsero che era vuoto e tornarono di corsa agli elicotteri. Si trattava di una trappola: accanto all’aereo, la polizia tedesca voleva liberare gli atleti in un’operazione che si sarebbe rivelata fallimentare: mancava un numero sufficiente di uomini addestrati (gli agenti sul bordo della pista erano solo cinque) e mancavano le attrezzature necessarie per la riuscita dell’operazione”. La polizia tedesca ingaggiò il fuoco per un ora con i terroristi che, una volta resisi conto di non avere vie di uscita, uccisero tutti gli ostaggi.
Nell’operazione moriranno tutti gli atleti israeliani sequestrati, cinque terroristi e un poliziotto tedesco. Gli altri tre terroristi furono arrestati, ma rilasciati il 29 ottobre dello stesso anno nella trattativa per il dirottamento sopra Zagabria di un aereo della Lufthansa. “Credo che non esista un solo terrorista in carcere in nessuna parte del mondo – l’amaro commento di Golda Meir – Tutti finiscono per cedere. Noi siamo i soli a non farlo”.
Nel dicembre scorso il New York Times ha fatto emergere nuovi dettagli sulla strage: le vedove di due atleti israeliani hanno raccontato al quotidiano che nel 1992 un funzionario tedesco mostrò loro dei documenti che raccontavano nei dettagli cosa era successo durante la presa degli ostaggi. In questa documentazione c’erano anche le fotografie in cui si mostravano il corpo seviziato di Yossef Romano. I terroristi, infatti, a differenza di quanto sosteneva la vulgata, torturarono gli ostaggi israeliani: Romano fu castrato e violentato prima di essere lasciato morire davanti agli altri atleti.
“Prima d’aprire la cartelletta con le foto, – raccontava il New York Times – l’avvocato Pinchas Zeltzer le chiese se volesse un dottore di fianco. Ilana Romano rispose di no. Aspettava da vent’anni quelle immagini di suo marito. Anche se non se le aspettava così: ‘Fu dolorosissimo. Fino a quel giorno, avevo avuto di Yossef il ricordo d’un giovane uomo con un grande sorriso e le fossette. In quel momento, si cancellò tutto lo Yossi che conoscevo’”.
Daniel Reichel