giovani – Team building all’UGN
Dal 28 al 30 ottobre, in un agriturismo in provincia di Viterbo, l’intero staff dell’UGN – Ufficio Giovani Nazionale, il gruppo che si occupa delle attività giovanili all’interno dell’Area Cultura e Formazione dell’UCEI, si ritroverà per fare “team building”, al fine di costruire dinamiche lavorative positive, in vista dei tanti progetti che saranno portati avanti nei prossimi mesi. Sedici ragazze e ragazzi motivati, vecchi e nuovi madrichim e collaboratori dell’UGN, seguiranno il percorso formativo proposto da Maura Levi, medico e psicoterapeuta, docente universitario, che ha sviluppato una metodologia, Humart, pensata proprio per migliorare le condizioni lavorative nelle aziende e in tutti i contesti in cui sia necessario. Al seminario interverrà anche Davide Romano, giornalista e assessore alla cultura della comunità ebraica di Milano.
“Partiamo dal presupposto che un’azienda, un team, un gruppo sono forti se sono composti da unità forti”, spiega Levi a Sheva Melamed.
Dottoressa Levi, come si insegna agli individui a lavorare meglio in gruppo?
Il mio lavoro consiste in quelli che io chiamo “giochi”, il gioco è alla base del progetto scientifico “Humart”. L’idea di fondo è che l’utilizzo dell’arte, della creatività, del teatro, aiutino a stimolare risorse personali di cui spesso ci dimentichiamo.
Quando io faccio giocare i partecipanti ai laboratori, con tecniche di improvvisazione teatrale, avviene una sorta di “sfasamento”, per cui tutti sono improvvisamente sullo stesso piano. Attraverso il gioco e il divertimento si verificano dinamiche interessanti, si comprende meglio come ognuno si relaziona con l’altro, si manifestano le personalità, quelli che vogliono prevaricare e quelli che rimangono in secondo piano. Si acquisisce consapevolezza. E pertanto si può provare a cambiare comportamenti consolidati.
Alla fine di ogni sessione io chiedo ai partecipanti come si sono sentiti. Mi rispondono in tanti modi, e si lavora insieme su quello che hanno provato confrontandosi. Questo, già di per sé, crea gruppo. Le persone che si mettono in gioco, in un clima di tranquillità e di non-giudizio, sono portate a parlare e a tirare fuori le loro esperienze. E, per quanto possa sembrare strano, questo metodo funziona non solo con i giovani, che in teoria dovrebbero essere più “malleabili”, ma anche con gli adulti, con fior di professionisti, inclusi i colleghi medici.
Le tecniche teatrali, i “giochi”, in cosa consistono?
Una delle frasi di ispirazione, che dico sempre, è che si deve imparare a ridere con gli altri, non degli altri. I giochi che propongo aiutano ad esprimere l’empatia. Uno di questi è “danza cieca”, che consiste nel “guidare” una persona bendata, al fine di infonderle fiducia, empatia e vicinanza con l’altro. In questo gioco non è solo importante la fiducia che si riesce a provare, ma cosa avviene dentro di sé quando si ha una persona davanti, come ci si adatta all’altro. Lavoriamo molto sul non verbale. Noi usiamo molto le parole, ma queste spesso invadono troppi spazi. A volte se osserviamo e impariamo ad adattarci a quello che l’altro ci dice, non solo verbalmente, la comunicazione diventa più semplice.
Quali aspetti devono essere privilegiati, secondo lei, lavorando in un contesto ebraico?
Nessuno in modo specifico, ma secondo me è molto ebraica la capacità di adattamento che nel “team building” cerchiamo di sviluppare. Il doverci adattare è insito nel nostro dna, è un elemento su cui fa leva, per esempio, tanto umorismo ebraico. L’estraneità, e la necessità di adattarsi, sono temi costanti nella nostra storia e cultura.
Adattamento, non adeguamento, che sono due concetti ben diversi. Adattarsi significa trovare una mediazione, adeguarsi significa accettare acriticamente, supinamente. Ed è molto importante che le persone invece siano attive e reattive.
Il singolo, quando impara a vivere con fiducia e autonomia il proprio ruolo all’interno di un gruppo, valorizza al meglio le sue risorse, accresce le sue capacità decisionali e quindi conferisce nuovo valore al gruppo stesso. Un’altra frase che amo dire è “una catena è forte, quando tutti gli anelli sono forti”. Se ogni elemento del gruppo si trova bene, il team funziona bene, ma se un singolo elemento si trova male, è l’intero team a risentirne.
Marco Di Porto
(21 ottobre 2016)