Comics&Jews a Lucca
Saviano, la sua storia raccontata
da una grande matita israeliana
Il grande disegnatore israeliano Asaf Hanuka e lo scrittore Roberto Saviano stanno lavorando insieme a un graphic novel sulla storia dell’autore italiano, che sarà pubblicato nel 2017. La notizia, che dopo l’anticipazione del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche era circolata già negli scorsi giorni, ha trovato una nuova conferma negli interventi di Giovanni Russo, responsabile dell’area Comics di Lucca Comics in corso nella città toscana in questi giorni, e del direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale. Se ne è parlato, dopo l’anteprima pubblicata sul dossier Comics& Jews dedicato al rapporto fra fumetto e cultura ebraica e curato da Ada Treves, durante la presentazione al festival del giornale in distribuzione in questi giorni. Giunto alla sua settima edizione, il dossier è stato presentato nel primo giorno della manifestazione, a ulteriore conferma della collaborazione fra la redazione dell’Unione e il maggiore festival italiano dedicato al fumetto.
Ad accompagnare la redazione ha voluto essere presente anche Emilio Varrà, responsabile di BilBOlBul, ossia dell’altro grande appuntamento dedicato al fumetto che si terrà a Bologna a fine novembre. Una ormai consolidata consuetudine, molto affetto e stima reciproca fra i professionisti del settore, la collaborazione riconosce anche la capacità di Pagine Ebraiche di intuire e presentare al pubblico autori che poche ore dopo avrebbero vinto il più ambito dei premi, il Gran Guinigi. Da Walter Chendi con La porta di Sion nel 2010, migliore storia lunga, a Rutu Modan nel 2013, miglior autore unico, fino ad Asaf Hanuka, lo scorso anno, miglior autore unico.
Quest’anno la giuria, presieduta da Roberto Davide Papini e composta da Guido Martini, Stefano Prodiguerra, Teresa Radice e Fabio Visintin, ha assegnato il premio “Maestro del fumetto” ad Albert Uderzo, mentre come Miglior disegnatore è stato premiato Alexandre Clérisse e il Miglior autore unico 2016 è Igort.
Il dossier Comics&Jews, attualmente in distribuzione con il numero di novembre di Pagine Ebraiche, oltre a dedicare ampio spazio al vincitore dello scorso anno, Asaf Hanuka, ha presentato ai lettori tre dei graphic novel scelti per la “Selezione Gran Guinigi”, che ogni anno è attestato di merito per una rosa di graphic novel considerati di grandissima qualità. Ne riproponiamo qui i contenuti.
La vita abita a Tel Aviv
“Non posso dirti nulla, mi spiace. Ho ricevuto istruzioni precise dalla casa editrice e anche a te come ai tanti giornalisti che mi hanno chiamato in questi giorni non posso rilasciare neppure un commento su questo progetto”. Così Asaf Hanuka, che nonostante il premio vinto nella scorsa edizione non è quest’anno presente a Lucca Comics, risponde quando Pagine Ebraiche gli chiede di commentare la grande novità appena annunciata: sta lavorando con Roberto Saviano a un nuovo libro, che sarà pubblicato da Bao nel 2017. Resta la promessa di farsi sentire, e di riprendere il discorso appena sarà possibile, e il rammarico per non aver potuto quest’anno ripetere l’esperienza del 2015, quando con Boaz Lavie, e con i responsabili dei due più grandi festival italiani dedicati al fumetto – rispettivamente Giovanni Russo per Lucca e Emilio Varrà per Bologna – e insieme alla redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane aveva presentato la sesta edizione di Comics&Jews.
Non ha facili verità da rivelare, Asaf Hanuka né tanto meno fini documentaristici, ma riesce a far coesistere tutti questi spunti nella medesima opera, che ha una potenza visiva straordinaria. KO a Tel Aviv è arrivato al terzo volume – pubblicato anch’esso da Bao, e anche questa volta le trovate grafiche non sono solo trucchi del mestiere ma hanno un senso profondo che intreccia idee e realizzazione espressiva. Ogni tavola è una storia, sia che si tratti di una singola illustrazione che di una striscia, e si tratta di due tipologie tra loro differenti sia per impostazione, che per concezione che per approccio: nelle strisce spesso le prime vignette raccontano una situazione reale o per lo meno realistica, che frequentemente è un momento di vita familiare, o personale. Si arriva però presto ai dettagli fantastici e a un’iconografia che trae spunto da un immaginario collettivo ben radicato. Un esempio perfetto di questo procedimento si può trovare nelle primissime pagine: durante una discussione sulla possibilità di lasciare la propria abitazione l’autore si trasforma in un astronauta in partenza su un razzo, segnale evidente della fatica e della difficoltà connesse con un trasloco che si trasforma a sua vola in un viaggio verso l’ignoto. Sdrammatizzazione, certo, ma anche la ricerca di una risata che possa alleggerire il peso di situazioni pesanti, difficili, che è il lettore a dover capire, interpretare, fino a coglierne il senso più profondo.
Del tutto differenti sono le illustrazioni a pagina intera: offrono una sintesi estrema, in cui è l’esperienza di Hanuka come illustratore a prevalere, ma anche in questo caso una conoscenza della cultura israeliana può aiutare a contestualizzare, senza bisogno di ricorrere alle note a pié di pagina. La sua immaginazione visionaria, viscerale e talvolta anche corrosiva è radicata profondamente nella sua cultura e in maniera ancora più specifica nella sua città: raccontare Tel Aviv, con le parole o con le immagini poco importa, comporta inevitabilmente il grande rischio di farne una cartolina. Perché la città delle spiagge e degli alberghi esiste insieme alla città della
vita notturna e dei boulevard effervescenti. Piace ai turisti, a chi cerca la gioia di vivere, la libertà dei costumi, ma la Tel Aviv di chi la vive davvero, insieme alla sua bellezza e dolcezza deve far coesistere i problemi della vita quotidiana, è un’altra città.
La Tel Aviv di Asaf Hanuka è sofferenza, dolore, tensione, difficoltà. Sono tavole che fanno male. Vi coesistono la quotidianità di tutte le famiglie, la vita insieme, le scelte, i figli, le preoccupazioni, l’amore e il sesso, ma ci sono anche la solitudine e la violenza, la difficoltà di comunicare e la disperazione. Gli espedienti narrativi e i capovolgimenti della logica che compaiono nelle sue tavole sono profondamente imparentati ai meccanismi che si presentano sia in molta letteratura ebraica che alle procedure mentali proposte nel Talmud. Come nei primi due volumi di KO a Tel Aviv le storie sono brevi e diventano considerazioni folgoranti e fulminee. Dolce e duro allo stesso tempo, intimo e violento, Hanuka non fa sconti a nessuno, neppure all’immaginario, né ai suoi lettori.
Ada Treves, dossier Comics&Jews
da Pagine Ebraiche, novembre 2016
Dalla Porta di Sion alla Maledetta balena
Un ragazzo di vent’anni o giù di lì, nel pieno della sua voglia di vivere. Un uomo vecchio, più vecchio degli anni che porta. Il sole, il mare, la fame, l’amore, la guerra. Una lampada a soffitto, un ospedale, la morfina, la pace eterna. I sogni, l’avventura, la speranza, il desiderio. I rimpianti, il dolore, l’arrendevolezza. Nella Maledetta balena, di Walter Chendi, paesaggi, sentimenti e azioni estreme si incrociano, si affrontano. Un solo personaggio è presente sempre – sia nei momenti del desiderio lucido e giovane, sia in quelli dei ricordi drogati e desolati: un gabbiano.
Con una sapienza da narratore consumato e abile – capace di dettagli al limite della più ossessiva precisione – e del montatore alla moviola – che piega e domina al tempo della narrazione lineare romanzesca frammenti di tempo del passato con quelli del presente – Chendi orchestra il suo romanzo come un musicista scrive la sua sinfonia, come un regista dirige il suo film. Il risultato, che il lettore-ascoltatore-spettatore ora può trovare in libreria, edito da Tunuè in un bel volume cartonato è un viaggio avventuroso e malinconico nella storia e nella Storia. Quella di Giovanni – in un nordest italiano che i più familiari ai paesaggi di Trieste e dintorni riconosceranno e ameranno per la accuratezza della riproduzione – dura dal 1944 a fine millennio scorso; quella della guerra – dei bombardamenti, dei tradimenti, della borsanera e delle Ragioni di Stato – avviene tutta in una manciata di mesi, ma le sue detonazioni, ferite, interpretazioni e manipolazioni dura ancora, e accieca chi non ha più occhi buoni per vedere.
Gli occhi, già: il guardare, il vedere. Perché Maledetta balena è sì un romanzo; ma è un romanzo che si guarda, e chi lo saprà ben guardare, vedrà. Non soltanto perché – come si sente dire con ammirazione, e un poca di ingenuità, talvolta – una storia ben narrata la si vede come fosse un film: la migliore opera di questo artigiano della letteratura, sessantenne e appartato, burbero e generoso che risponde ( ma non sempre, solo se ne ha voglia… ) al nome di Walter Chendi, è una storia a fumetti. Una graphic novel, per i più soggetti alle nuove descrizioni di antiche pratiche, dai bisonti rupestri agli affreschi, ai videogame. Chendi disegna le parole, fa parlare le immagini. I lettori di Moked e Pagine Ebraiche lo sanno bene, perché – grazie alla competenza del direttore Guido Vitale in materia di storie disegnate, e grazie a un lavoro di Chendi di pochi anni fa, La porta di Sion, vincitore nel 2010 del più importante Premio italiano di settore, il Gran Guinigi di Lucca Comics – l’abilità, l’accuratezza, la sensibilità dell’autore triestino sono già state celebrate su queste pagine, e su questi monitor. Ma, credetemi, qui Walter Chendi si supera. E, credetemi ancora, non era affatto facile. Qui, tanto nella Storia della nave che non c’era e del suo equipaggio fantasma, come nella storia di Giovanni da ragazzo a vecchio, c’è un pezzo – e bello grosso, secondo me – della vita, anzi no: delle vite di Walter. Non vi dico altro, per pudore e rispetto, ma chi leggerà ad occhi ben aperti, capirà.
Altro non vi dico, ma vi mostro qualche tavola di questo lavoro magnifico. Troverete anche alcune immagini in bianco e nero, a matita, oltre a quella a colori che apre il libro e presenta il suo Alato Umile Narratore: sono esempi dei lavori di preparazione di Chendi, che ci mette 4 o 5 anni per finire una storia che magari nasce in pochi minuti, ma per venir partorita ha bisogno anche di più dei 365 giorni di una mamma balena. Ne troverete altri, in appendice del libro: entrerete nel laboratorio di Chendi, e se chiudete la copertina senza un “Wow” di ammirazione, beh: avete guardato, ma non avete visto.
Valerio Fiandra, dossier Comics&Jews
da Pagine Ebraiche, novembre 2016
L’inferno sono gli altri
Ci sono A porte chiuse di Jean Paul Sartre e riferimenti anche a Kafka, così come “Eraserhead” di David Lynch. E non è possibile leggere l’ultimo lavoro di Koren Shadmi, Abaddon (NPE) senza pensare alle parole di Jorge Luis Borges quando sosteneva che la teologia può essere interpretata come un ramo della letteratura fantastica. Si riferiva ai paradossi logici e a quei labirinti del pensiero in cui da sempre l’uomo brancola creando miti solidi e duraturi, e i fondamenti diventano immagini concrete in un racconto lungo che pare approdare a una disturbante metafisica delle cose ultime. Shadmi, che è stato ex-enfant prodige del fumetto israeliano e da anni vive a Brooklyn è ora un illustratore affermato, pubblicato in Francia da Ici Même, la stessa casa editrice che annovera tra i suoi autori Paolo Bacilieri e Simon Schwartz (Nell’immagine è ritratto con Bacilieri al Festival de la Bande Dessinéè di Angoulême). Abaddon, il titolo del graphic novel candidato al premio maggiore di Lucca Comics, il Gran Guinigi, non è una parola inventata ma semplice trascrizione di un termine ebraico, sinonimo di distruzione e annichilimento.
a.t. twitter @atrevesmoked
dossier Comics&Jews
da Pagine Ebraiche, novembre 2016
Un ragazzo e una matita
Non è un film di Hollywood, né un fumetto della Marvel. E non ha lieto fine. Yossel, il graphic novel di Joe Kubert ripubblicato da RW Edizioni e candidato a uno dei prestigiosi premi assegnati a Lucca, è una resa dei conti amara e tragica. La storia disegnata di una vita parallela, in cui l’autore racconta quello che sarebbe potuto essere se i suoi genitori, nel 1926, non fossero riusciti a lasciare l’Europa. Un sacrificio del proprio passato, della memoria di se stesso, ragazzino dotato di un dono speciale che permette a Yossel di godere dei privilegi concessogli dai nazisti che lo chiamano a disegnare gli eroi dei fumetti americani. E di cui il “vero” Joe Kubert racconta nell’introduzione: “Quando avevo tre o quattro anni, i vicini di casa mi comprarono delle scatole di gessetti per disegnare in strada. Lungo i canali di scolo, in realtà. I marciapiedi erano di pietra grezza, ma i canali di scolo erano di un liscio macadam nero. Migliore di una lavagna per disegnare coi gessetti. Ho sempre voluto diventare un disegnatore di fumetti. Dal momento in cui vidi la mia prima striscia a fumetti sui giornali, prima ancora di poterne leggere le parole, i disegni mi portarono in un mondo che cominciai ad amare. Flash Gordon, Prince Valiant, Bringing Up Father, Jungle Jim, The Phantom, Tarzan, Terry and the Pirates, Dick Tracy, The Gumps, Gasoline Alley, The Katzenjammer Kids. I personaggi di questi fumetti erano vivi per me. (…) Basandomi sulle storie che ho sentito dai miei genitori, su ciò che ho letto e sui dati storici disponibili, ho scritto e disegnato questo volume. Ho incorporato notizie giunte ai miei genitori “per lettera dai sopravvissuti e dei loro cari durante e dopo la guerra”. Ho recuperato e verificato i riferimenti alle date, ai tempi e ai luoghi. È stata un’esperienza molto personale, un po’ terrificante e in un certo qual modo purificante.
Era qualcosa che sentivo di dover fare”.
a.t. twitter @atrevesmoked
dossier Comics&Jews
da Pagine Ebraiche, novembre 2016