melamed, idee – Qualcuno sa leggere il sole
La domanda che dà il titolo a queste pagine è più antica della scrittura. Ben prima di graffiare parole sulla pietra i nostri antenati si sono certo domandati: «C’è qualcuno che sa leggere le tracce degli animali per orientarci nella caccia?», «C’è qualcuno che sa leggere le forme della luna o i movimenti del sole e per dare ordine al tempo?» Per ritrovare il sapore di questa lettura antichissima vorrei proporvi un gioco percettivo che ruota attorno alla parola solstizio.
Ci sono parole che per capirle bisogna fare un viaggio con gli occhi e sapere aspettare. Con i bambini a scuola, per cercare di intendere il solstizio compiamo una ricerca che dura diverse settimane. La parola ha una lunga storia e nomina un evento celeste che scandisce le nostre vite, anche se non ce ne accorgiamo più.
Per incontrarla chiedo ai bambini di dedicare, fin da novembre, la loro attenzione al tramonto. Si tratta di scegliere una finestra da cui si può guardare il sole scendere e toccare la terra o, se non si vede da casa, di uscire e cercare un luogo aperto da cui si possa osservare il luogo dove tramonta il sole. È una sorta di caccia al tesoro che abbiamo sperimentato si può fare divertendosi anche in città.
Una volta individuato il luogo dove si pensa che il sole toccherà la terra prendiamo un cartoncino, una matita, i colori e cominciamo a disegnare la linea dell’orizzonte che si profila davanti ai nostri occhi. A meno che non si abiti in faccia al Tirreno non si distenderà orizzontale sul mare, ma comparirà ai nostri occhi come linea spezzata fatta di case, antenne, tetti, forse qualche albero o collina in lontananza. Anni fa Noemi, in terza elementare, notò che «le linee dritte sono tutte fatte dall’uomo, mentre la natura è tutta curve».
Una volta disegnato il tratto di orizzonte verso il tramonto che si vede dal nostro osservatorio, aspettiamo il fatidico momento in cui il sole tocca la terra e disegniamo, scegliendo bene i colori, il disco di luce che finalmente possiamo guardare senza strizzare gli occhi.
Dopo tre o quattro giorni torniamo al nostro osservatorio e, se abbiamo portato con noi il primo disegno, ci accorgiamo immediatamente che il sole non tocca la terra nello stesso punto. Il tramonto si è spostato! Se vogliamo ragionare anche su un altro elemento, segniamo in alto, nel nostro cartoncino, la data e l’ora esatta in cui il sole scompare dalla vista.
«Per me l’orizzonte è una linea infinita perché sta intorno a noi», ha detto Simone mentre lo disegnavamo la settimana scorsa. «Per me l’orizzonte è il fondo che sta attorno a te, quello che c’è in giù sotto il sole», ha aggiunto Alessandro, e Alessia ha concluso: «Secondo me l’orizzonte è una linea infinita perché più ti avvicini più si allontana, perché non puoi toccarlo».
In quarta elementare do come compito a casa per alcune settimane l’osservare e disegnare tramonti su cartoncini della stessa dimensione, che attaccheremo poi con lo scotch uno sotto l’altro. Collezioniamo così tra novembre e dicembre le tracce colorate del lento scivolare del sole verso sinistra, su cui c’è un bel po’ da ragionare perché è spazio che ci racconta il tempo.
Il gioco è particolarmente intrigante perché ci sono numerosi ostacoli da superare. Se piove o se una nuvola copre proprio quel tratto di cielo, infatti, dobbiamo aspettare un altro giorno. Stiamo compiendo una ricerca i cui tempi non siamo noi a determinarli e questo ritengo sia particolarmente educativo per i bambini, che fanno sempre più fatica a confrontarsi con l’attesa, gli ostacoli e l’imprevedibilità.
Ora, poiché regalarsi parole è uno dei più significativi scambi di doni tra generazioni, penso che sostare intorno alla parola solstizio può stimolare un gioco da fare insieme, genitori e figli, dedicando del tempo all’attesa di qualcosa che avviene in cielo.
Settimana dopo settimana, se cominciate subito, vedrete il tramonto spostarsi sempre più verso sud-ovest fin quando, il 21 dicembre, il sole si fermerà perché da quel giorno, con stupore, lo vedremo tornare indietro verso destra, verso nord-ovest, passato il giorno più corto dell’anno.
Sol-stizio è una parola a due gusti, come il gelato crema e cioccolato. Ora finalmente possiamo intenderne il sapore partendo dai due suoni: sol sta naturalmente per sole e stizio viene dalla parola latina sistere, fermarsi. Ed effettivamente, dal nostro punto di vista, il sole si è fermato e la cosa deve avere così stupito gli antichi che Talete, il primo scienziato, dedicò al Solstizio uno dei suoi due libri, purtroppo perduti.
Per migliaia di anni i contadini, cioè i nove decimi della popolazione del pianeta fino a cent’anni fa, aspettavano con trepidazione il solstizio d’inverno perché rappresentava il momento in cui il sapore dell’attesa s’invertiva. Finito l’autunno, in cui le giornate si accorciano e il mondo vegetale lentamente si addormenta, il grande pendolo del sole ci ricorda che, nelle regioni temperate come la nostra, la natura comincia il suo lento risveglio che porterà all’esplosione della primavera.
Per scandire questo passaggio, intorno al 21 dicembre si addensano in tutta la terra feste dal potente valore simbolico, che ogni cultura ha declinato a suo modo fin dai primordi. Per i cristiani c’è il Natale. Per gli antichi romani c’erano i saturnali dedicati a Saturno-Cono, dio del tempo. Una settimana di festeggiamenti scatenati in cui l’ordine era sovvertito e gli schiavi (probabilmente solo alcuni schiavi) potevano comportarsi temporaneamente come uomini liberi in una sorta di anticipazione del carnevale medioevale. Se qualche mamma o papà avrà la possibilità e il desiderio di perdere tempo con sua figlia o suo figlio a inseguire tramonti, scoprirà la radice astronomica della festa più amata dai bambini.
Mi piace ricordare che l’invenzione di questo modo di entrare in relazione con il cosmo la devo a Giancarlo, ragazzetto sveglio, alto e mingherlino, che il primo anno che insegnavo a Giove venne un giorno in classe con in mano un foglio a quadretti strappato e tratteggiato di azzurro. Indicando un grappolo di stelle disegnate a matita fece molte domande. Io non risposi, mostrai il foglio agli altri bambini e decidemmo, la sera stessa, di provare a disegnare tutti alla maniera di Giancarlo. La sua intuizione è divenuta una sperimentazione didattica raccontata nel libro Con il cielo negli occhi. Ancora oggi, dopo trentatré anni, l’idea di disegnare uno sguardo che s’interroga continua ad affascinarmi. Per questo colleziono e propongo a tutti di disegnare finestrelle astronomiche, come le chiamarono allora i bambini.
Franco Lorenzoni per il Sole 24Ore
(2 dicembre 2016)