L’Incompiuta
La musica si plasma nell’aria e si aggancia alla terra tramite supporto cartaceo o registrazione fonografica e, nel caso della musica concentrazionaria, sopravvive alla prova del tempo tramandandosi anche per via orale o nascondendosi tra le pieghe dei ricordi di deportazione.
Tuttavia al compositore può essere mancato tempo ed energia per rivedere i propri lavori oppure il materiale scritto costituiva un iniziale canovaccio dal quale estrarre l’opera nella sua forma finale dopo la liberazione dal Campo (semmai fosse accaduto); entravano in gioco elementi contingenti come qualità e scarsità di carta o penne o matite, tempo da dedicare in alla creazione musicale, interazione con compagni di prigionia che potevano costituire fonte di stimoli ma altresì di disturbo.
Oggi bisogna ricostruire tali opere come i loro autori le avrebbero presumibilmente scritte, esercitare filologia attiva ossia non interfacciarsi con le fonti mediante criteri puramente archeologici ma ridare vita alle opere incompiute creando protesi, “sentire” cosa l’autore avrebbe scritto al flauto o al pianoforte o al violino in questa o quella battuta se ne avesse avuto la possibilità, fiutare come segugi quali parole si nascondono dietro simboli apparentemente senza senso talora usati per bypassare la censura, compiere micro–interventi di riparazione dell’opera così come un chirurgo preleva lembi di pelle o frammenti ossei da parti sane del paziente per ricostruire parti malate o danneggiate.
Ciò è maggiormente possibile nei casi in cui l’autore ha lasciato opere incomplete non a causa di morte improvvisa ma perché presagiva tragiche situazioni o avvertiva deterioramenti psico–fisici che non gli avrebbero consentito di portare a termine la creazione musicale; pertanto l’autore, tramite spie o parti abbozzate o semplici annotazioni grafiche ci indica come l’opera sarebbe andata a finire.
Vedasi il copioso materiale di cabaret o musica leggera creato a Westerbork, Theresienstadt, Mukden, Ilava e si provi a intercettare il calore che emana da alcuni lavori di Willy Rosen, Walter Lindenbaum, Edmund J. Lilly, Harry Berry o dei Lovara; alla fine non si compie nulla di assurdo ma si corre incontro a questa musica ricostruendo elementi musicali e ossature orchestrali.
Nel marzo 1942 il compositore ebreo ceco Ervin Schulhoff iniziò a stendere la partitura pianistica della VIII. Symphonie op.99 presso lo Ilag XII Wülzburg, il primo movimento contiene un inno per coro maschile di ispirazione comunista e alla fine di ogni strofa ci sono virgolette incomprensibili; il testo fu redatto su un foglio clandestino successivamente portato alla luce da suo figlio Petr ed è un’ode a Marx, Lenin e Stalin (Schulhoff morì di tubercolosi nell’agosto 1942).
Sull’autografo del Nonet del prigioniero politico ceco Rudolf Karel scritto presso il Vazební věznice di Praha–Pankrác manca apparentemente materiale ma non è così poiché Karel lasciò numerose indicazioni organologiche che ne consentono la ricostruzione; al momento della stesura dell’opera, Karel era gravemente dissenterico e proveniva da numerosi turni di tortura, pertanto era assolutamente indispensabile per Lui economizzare materiali e tempistica.
Durante la Guerra il tenore e compositore galiziano Hermann Gürtler fu deportato presso Bolzano–Gries, ivi scrisse una Sonata per violino e pianoforte incompleta nell’ultima parte; tuttavia la struttura del movimento è tale da permetterne un completamento ragionevolmente attendibile.
Il canone dell’opera in un atto Der Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann non fu chiuso dal suo autore a Theresienstadt, le ultime fondamentali integrazioni risalgono a qualche giorno prima che egli fosse trasferito a Birkenau; dopo un lungo lavoro di ricostruzione, oggi il canone può dirsi completo.
Sembra che l’autore di ognuna delle suddette opere avesse gettato un immaginario ponte con futuri ricercatori affinché gli stessi scoprissero i filoni aurei interrotti delle loro musiche e proseguirli, estrarne la materia sino all’ultima particella, intraprendere una riparazione storica, umana e artistica nei riguardi di questa gigantesca incompiuta dell’ingegno umano qual è la musica concentrazionaria.
In fondo, tali operazioni non sono dissimili dal completamento del Contrapunctus 14 dall’Arte della Fuga BWV1080 di J.S. Bach, della IX. Symphonie di A. Bruckner o del finale della Turandot di G. Puccini; completare le opere incompiute scritte in cattività durante la Seconda Guerra Mondiale costituisce un inderogabile dovere storico e morale.
Francesco Lotoro
(7 dicembre 2016)