Il valore della lentezza
“Ma davvero ti è piaciuto, quel film lento-lento?”, mi domandava un amico qualche giorno fa, con un un tono da valutazione negativa nella ripetizione dell’aggettivo. La velocità – ho pensato – ci sta facendo del male; e mi sono ri-immerso fra le pagine di “Il Peso dei Segreti”, della scrittrice giappo-canadese Aki Shimazaki (Feltrinelli, traduzione di Cinzia Poli). È da metà dicembre che lo leggo, che ne rallento la lettura, che ne rimando la fine. Eppure ne sono preso; ormai ho capito che i segreti si stanno sciogliendo, e che la macchina testuale che l’autrice ha montato prevede il dislocamento di frammenti di rivelazione per cucire assieme i lembi di una storia che è sì sempre la stessa, ma che è sempre diversa – dipende da chi e da quando la narra.
Quando ha inizio, infatti, il romanzo delle famiglie Takahashi e Horibe è già cominciato; i fatti privati (intricati – si scoprirà -, ma così umani, obbligati direi) e quelli pubblici (un terremoto devastante, le bombe atomiche) sono strettamente legati, e fanno a loro volta parte di una storia più vasta ancora, sconfinata come il tempo. Il tempo, già: quell’affare di cui si sa che c’è ma non si sa cos’è, e che in Oriente è più un processo che un movimento da/a. La lentezza, la quiete nei testi cinesi o giapponesi è il necessario tentativo di rappresentare la natura delle cose e dei fatti, non di dar loro una spiegazione; dal che la difficoltà, per noi occidentali, di apprezzare quel che esprimono, e il rischio di annoiarci.
Noi crediamo negli eventi; noi mettiamo fra i fatti un rapporto di causalità; noi pensiamo che sia la nostra volontà a determinarli – salvo poi ritrovarci spesso a dover ammettere che no, ce la raccontiamo da soli la nostra storia. Anzi, le storie, perché ciascuno si racconta le sue, e la Verità – quella cui tendiamo come a una forma suprema di giustizia – non è nella narrazione, ma nelle singole voci. Così, leggendo questa saga fatta di cinque brevi romanzi, ogni dettaglio conta, ogni slittamento, ogni frase, ogni fiore che sboccia-matura-sfiorisce-sboccia ancora. Eppure, credetemi, se ci entrerete, troverete più senso (ricordatevi che la parola vuol dire ‘direzione’ più che ‘significato’, e non solo per chi è nato vicino al Sol Levante) che nei nostri romanzi d’avventura.
Non mi va di dirvi di più, e rimando chi fosse incuriosito ma non convinto, alla lettura del risvolto di copertina.
Vi dirò invece che quel mio amico, qualche giorno dopo, mi ha detto che non riusciva a smettere di ripensarci, a quel film lento-lento.
Valerio Fiandra
(12 gennaio 2017)