melamed – I costi dell’ebraismo
Chi in Italia vuol crescere ebraicamente i propri figli sa bene che gli ostacoli che ha davanti a sé ogni giorno non sono pochi. Soprattutto nei centri e nelle Comunità più piccole, dove talvolta mancano realtà dedicate alla formazione, strutture di riferimento costanti nel tempo e anche altri servizi di base. È una sfida innanzitutto logistica, in particolare se non si abita nelle quattro città (Roma, Milano, Torino e Trieste) dove è possibile contare su una struttura scolastica che governi un certo percorso di formazione.
Ma è anche una sfida economica che riguarda un po’ tutti, perché come è noto i prodotti casher costano qualcosa di più rispetto alla media e non sempre si trovano dietro l’angolo, soprattutto nelle regioni dove la presenza ebraica è meno forte. Tema quanto mai attuale, se si pensa alla sfida lanciata da K.it, il marchio di casherut nazionale dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che ha tra i suoi obiettivi quello di facilitare l’accesso a tali prodotti e al tempo stesso quello di calmierarne il costo.
“Being an Orthodox Jew can cost a pretty penny” scrive il Forward, toccando uno dei temi che attraversano la società ebraica americana in questi mesi. Sono sempre di più infatti le realtà del mondo ortodosso che si stanno mobilitando, anche attraverso azioni collettive di pressione, per far sì che sia lo Stato a farsi carico dell’abbattimento di alcuni costi ritenuti non più alla portata del budget di una famiglia media statunitense. Rivolgersi allo Stato per questioni che attengono anche a servizi di natura privata è procedura inusuale ma, viene spiegato nell’articolo, si è resa necessaria per la drastica impennata di alcune voci di costo.
A fornire qualche numero è Il Pew Research Center, un’autorità nel campo delle ricerche e delle indagini statistiche: negli Stati Uniti l’81 per cento dei genitori ortodossi ha figli che studiano in una scuola ebraica o in una yeshiva, gli istituti di formazione rabbinica. Se si considera che in media ogni famiglia ortodossa ha 4,1 figli e che le rette in alcuni casi partono dai 15mila (scuola materna) per arrivare ai 30mila dollari annui (alle superiori), si capisce facilmente la portata del fenomeno. Cifre considerevoli, viene spiegato, che finiscono per gravare sulle famiglie che arrivano a spendere fino a un milione di dollari ciascuna. Naturalmente evitando di trattare le spese che andranno poi sostenute per la formazione universitaria. Non certo briciole.
“Si tratta della sfida economica più ardua per la nostra comunità” spiega al Forward una dirigente dell’Orthodox Union. “Purtroppo, per via dei costi molto alti, stiamo assistendo a numerosi casi di genitori che preferiscono mandare i propri figli nelle scuole pubbliche”.
Il mondo ortodosso si sta così mobilitando in diversi modi. Innanzitutto rafforzando una campagna di fundraising al proprio interno e tra i sostenitori più vicini. Ma anche, ed è questa la novità, attraverso un tavolo di confronto diretto con lo Stato, con l’obiettivo di favorire l’erogazione di fondi pubblici a sostegno di scuole non pubbliche come quelle ebraiche.
È una struttura articolata e sempre più professionale quella che lavora su questo fronte. È stato infatti costituito un network di scuole e di associazioni di genitori che agiscono insieme ad avvocati e altre figure specializzate nei rapporti con le istituzioni e con i dipartimenti dedicati. Lo O.U Teach Advocacy Network opera al momento in sei Stati, quelli in cui la presenza ebraica è più signfiicativa. Ma non è escluso che possa presto allargare il proprio raggio d’azione.
(2 febbraio 2017)