Levi papers – Gusci e conchiglie
Nel primo foglio dattiloscritto aggiunto nel 1958 a “Le nostri notti”, Levi parla di un tema a lui molto caro: il “guscio”. Ha aggiunto due fogli, cambiando, come si è detto, l’inizio del capitolo e introducendo il personaggio di Alberto. Poco dopo la metà del foglio dattiloscritto – più corto del seguente, segno che è stato ritagliato da un A4 – c’è questa frase: “La facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze apparentemente disperate, è stupefacente, e meriterebbe uno studio approfondito. Si tratta di un prezioso lavorio di adattamento, in parte passivo e inconscio, e in parte attivo: di piantare un chiodo sopra la cuccetta per appendervi le scarpe di notte; di stipulare taciti patti di non aggressione coi vicini; di intuire e accettare le consuetudini e le leggi del singolo Kommando e del singolo Block. In virtù di questo lavoro, dopo qualche settimana si riesce a raggiungere un certo equilibrio, un certo grado di sicurezza di fronte agli imprevisti; ci si è fatto un nido, il trauma del travasamento è superato”.
“Guscio” è un termine che riveste un’importanza fondamentale nella sua psicologia di resistenza all’interno del Lager. Scrive: “prezioso lavorio di adattamento in parte passivo e in parte inconscio”. “Adattamento” è un termine di origine biologica, gli viene senza dubbio da Darwin, lettura che ha fatto negli anni giovanili. Il termine “inconscio” è introdotto per la prima volta in questa aggiunta del 1958; non figura in nessuna pagina della edizione del 1947 (e non lo troviamo in nessun altro passo di quella del 1958). Probabilmente è una parola che tra il 1946 e il 1955, gli anni delle aggiunte manoscritte del quaderno “Per Einaudi”, gli è diventata consueta. Ha letto Freud, o ha ascoltato il termine nei dialoghi con persone che frequenta. La sua amica Luciana Nissim, deportata ad Auschwitz, autrice di una delle prime testimonianze sui Lager, intraprende l’analisi per diventare psicoanalista in quel periodo; il termine circola nelle riviste che Levi legge, a partire dalle pubblicazioni di “Comunità”. La parola “guscio” compare altre volte negli scritti seguenti, come due termini sinonimi: “nido” (parola qui presente) e “casa” (qui non c’è). In uno dei racconti de Il sistema periodico, “Uranio”, parla del paguro e del suo guscio, riguardo l’uso della scrivania nell’ufficio; ancora ne La chiave a stella torna sui vari tipi di guscio. Quando commenterà con note l’edizione scolastica di Se questo è un uomo negli anni Settanta, spiegherà “guscio”, aggiungendo una breve indicazione naturalistica (“secernere: La similitudine è tratta dai molluschi, quali ad esempio le chiocciole, che, come è noto, secernono da particolari ghiandole un liquido che poi indurisce costituendo il guscio, ossia la conchiglia”.). C’è poi una poesia del 1983 dedicata a “La chiocciola”, dove si parla di nuovo del guscio e della conchiglia. Si tratta di un termine che gli viene da Darwin e da Conrad, come dimostrano i due brani inseriti nella sua antologia personale, La ricerca delle radici, dove compare il termine. Parla numerose volte del guscio dell’uovo; anche in uno dei racconti inediti del libro non finito Doppio legame (altro titolo possibile: Chimica per signore). Il culmine della fenomenologia del “guscio” lo troviamo però in un testo degli anni Ottanta, dedicato alla descrizione della sua casa (“La mia casa”); è il perfetto analogo di quello inserito nella pagina di Se questo è un uomo edizione 1958: “Abito da sempre (con involontarie interruzioni) nella casa in cui sono nato: il mio modo di abitare non è stato quindi oggetto di una scelta. Credo che il mio sia un caso estremo di sedentarietà paragonabile a quello di certi molluschi, ad esempio le patelle, che dopo un breve stadio larvale in cui nuotano liberamente, si fissano ad uno scoglio, secernono un guscio e non si muovono più per tutta la vita”. Levi non ha mai fatto quello studio approfondito che propone nel passo aggiunto nel 1958, tuttavia ha ben identificato da etologo (ma anche da antropologo), l’importanza della “nicchia”, del “guscio” e del “nido” per sopravvivere. Non solo l’ha osservato nel Lager, ma l’ha praticato lui stesso. Levi possiede una rara capacità di costruirsi gusci, di scavare nicchie. Non solo lui, ma anche Leonardo Debenedetti, che troveremo ne La tregua, come compagno nel viaggio di ritorno a Torino. Di lui in un ricordo scrive: “si ritirava nel suo guscio come una tartaruga”. La difesa come forma di sopravvivenza, di resilienza, per usare un termine che anche Levi usa successivamente, negli anni Ottanta. La parola “nido” torna innumerevole volte nei suoi libri e scritti: uccelli (allodole, gabbiani, rondini); ragni (come nel libro di Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno); scoiattoli; larve. Gli interessa molto sia il guscio, che è tipico dei molluschi, che lo fabbricano da sé, sia il nido, fabbricato dagli uccelli usando materiale già pronto, raccolto in giro. In un breve segnalazione, cita L’architettura degli animali di Karl von Frisch come una lettura entusiasmante. Peccato che non abbia mai scritto quello studio. O meglio, in realtà l’ha scritto, perché Se questo è un uomo è il suo guscio, quello che, come un mollusco, ha secreto intorno a sé. Un libro duro e affascinante come una conchiglia.
Marco Belpoliti, scrittore
(5 febbraio 2017)