Storie – Il Museo delle penultime cose
Cosa accadrà quando tutti i testimoni della Shoah saranno scomparsi? Quel momento, purtroppo, non è lontano, e Massimiliano Boni, scrittore e consigliere della Corte Costituzionale, nel romanzo Il Museo delle penultime cose (66thand2nd, pp. 352) ha provato a raccontarlo, immaginando un’Italia futura – che speriamo non si realizzi mai – scossa da un rigurgito antisemita, in cui al governo viene eletto un certo Cacciani, promotore di un “Piano nazionale della Felicità” (il cui acronimo, Pnf, ricorda quello di partito nazionale fascista), mentre tutt’intorno il clima sociale peggiora e molti ebrei italiani sono costretti a rifugiarsi in Israele.
In questo quadro fosco, Pacifico Lattes, vicedirettore del museo della Shoah di Roma, sito in villa Torlonia, prepara un’importante mostra sugli ultimi superstiti ai campi di concentramento. È arrivato quasi alla fine del suo minuzioso lavoro, quando riceve da un parroco la notizia di un sopravvissuto ancora in vita: tra le mura di una casa di riposo di Tor Sapienza, infatti, c’è Attilio Amati, novantottenne aspro e taciturno custode di un segreto.
Dall’incontro tra Attilio e Pacifico, dapprima scettico nei confronti di un vecchio il cui nome non compare sulle liste dei deportati, inizia una ricerca difficile e ostinata, un confronto serrato che porterà entrambi a riconoscersi nella dolorosa esperienza dell’altro.
Un romanzo che s’interroga sull’importanza dei testimoni e ci interroga sul come preservare la memoria di ciò che è stato e creare anticorpi contro il ritorno all’antisemitismo.
Mario Avagliano
(28 febbraio 2017)