Museo del Design di Holon, un miracolo senza l’auspicato “effetto Bilbao”
Si trova a Holon il primo museo dedicato, in Israele, al Design. Salutato nel 2010 come “un piccolo miracolo” destinato a diventare uno dei principali centri culturali del paese, è stato progettato da Ron Arad in collaborazione con Bruno Asa e prima ancora di aprire, prima che anche una sola mostra vi fosse presentata, aveva già attirato l’attenzione su di sé. Le sue spire di metallo in tonalità decise, dall’arancio al marrone al rosso formano una delle strutture più sorprendenti costruite recentemente in Israele e nell’intenzione dei committenti dovevano attirare a Holon quello stesso genere di turisti che vanno a Bilbao per il Guggenheim Museum progettato da Frank Gehry. Un’operazione simile a quella tentata a Metz con la succursale del Pompidou di Shigeru Ban, o a Roma per il Maxxi, progettato da Zaha Hadid.
Lo stesso Ron Arad presenta il suo primo progetto per un edificio pubblico come “il gioco dinamico fra una serie di spazi interni simili a scatole poste su livelli differenti e sei nastri d’acciaio che supportano e avvolgono le aree espositive in un rapporto costante fra gli interni e lo spazio pubblico esterno”. Ha scritto, anche che “il museo è considerato in ambito internazionale sia come una aggiunta riconoscibile e iconica al paesaggio culturale e architettonico del paese che come motore dello sviluppo locale”. In effetti il Design Museum di Holon, aperto a marzo 2010, è parte di un’area dove si trovano anche la biblioteca, il teatro e la cinemateca che sono riunite in una Mediateca che affianca la facoltà di Design dell’Holon Institute of Technology, ma che abbia avuto l’effetto auspicato dalla municipalità che ne ha deciso la costruzione è ancora tutto da provare. Il numero di visitatori, per quanto notevole, non raggiunge quello di altre realtà più urbane del paese, e non è riuscito a cambiare la percezione della cittadina, che dopo il flusso iniziale di turisti e di curiosi non ha modificato la sua natura.
L’immagine di Holon, così, resta quella di un luogo dove si vive bene ma che non ha grandi attrattive, né uno charme particolare. Nessuna centralità artistica e culturale, quindi, né l’esempio internazionale che voleva diventare, ma, semplicemente, un luogo dove si può stare bene. Non c’è stato l’effetto Bilbao, che così come non ha funzionato a Holon non è riuscito neppure alle amministrazioni dei molti altri luoghi dove è stata tentata una operazione simile, probabilmente senza tener conto del fatto che la cittadina basca aveva già una sua storia e una sua identità prima della costruzione del Guggenheim. Holon invece non ha una gran storia e nonostante fosse un luogo perfettamente in grado di integrare il nuovo Design Museum fra le attrattive del suo centro cittadino, vivo seppure un po’ trascurato, la scelta della municipalità è stata di relegare la costruzione in una delle aree più periferiche, una zona prevalentemente residenziale che non ha le potenzialità di un centro culturale. Non ci sono gallerie, caffè, o anche solo segni di street art… semplicemente perché non c’è una vera e propria strada, e la sua capacità di attrarre turisti, che pure esiste, è sacrificata mentre, fanno notare le voci critiche, avrebbe potuto essere un incentivo reale se collocato in un contesto urbano, da cui esso stesso avrebbe potuto certamente trarre giovamento.
Holon non si è mai arresa alla sua identità vagamente marginale, e dopo essersi autodefinita prima “children’s city” e successivamente “design city” ha sviluppato infinite altre attrazioni, che però non sono bastate a dare nuova vita al centro cittadino né a trasformare le sue periferie. Hanno reso Holon più nota, ma non l’hanno trasformata. Non è forse neppure un male, se si pensa che neppure l’effetto Bilbao è proprio ideale sotto tutti i punti di vista: una grande conferenza internazionale tenutasi un paio di anni fa per analizzare le ricadute economiche ha mostrato che la città è rimasta molto calma, con aree che paiono “vuote” di persone e non hanno modificato la propria vocazione residenziale, e che anche se sicuramente ci sono state notevoli entrate la ricchezza non ha raggiunto tutti gli strati della popolazione, colpita invece da un generalizzato aumento dei prezzi e dal livello di disoccupazione, rimasto alto soprattutto tra i giovani. In altri termini il fallimento dell’operazione potrebbe non essere una cattiva notizia, per Holon che ci ha comunque guadagnato un museo di tutto rispetto, capace di proporre mostre interessanti in un contenitore dal fascino indiscutibile.
Ada Treves twitter ada3ves
(5 marzo 2017)