Baseball, nessuno li conosce ma loro vincono
“Il baseball fa presa sui fan per due elementi principali. Come molti altri sport, ha grande eleganza e c’è l’eroismo individuale. Come bambino americano sei ipnotizzato da entrambi. Da ragazzo giochi a baseball per tutta l’estate, per tutto il giorno, fino a sera, fino a quando c’è abbastanza luce per vedere la palla. Poi, come un adulto, lo guardi e lo segui per il resto della tua vita, ancora come fossi un bambino”. Questa la descrizione del baseball da parte di Philip Roth, il celebre scrittore ebreo americano, che in diversi libri racconta la sua fascinazione per un gioco che in Italia non trova lo stesso successo. Così come accade in Israele, dove i bambini non crescono a pane e baseball, ma guardano calcio, basket, judo, fino al football americano ma dello sport tanto amato da Roth sanno molto poco. Eppure Israele, per la prima volta nella sua storia, sta sbalordendo tutti al World Baseball Classic, infilando vittoria dopo vittoria: nelle scorse ore ha battuto la quotata Cuba, dopo aver già surclassato Corea del Sud, Taiwan e Olanda. La cenerentola delle squadre sta impartendo lezioni a squadre che hanno una tradizione alle spalle, che hanno un tifo che le segue. Perché? Perché la squadra è formata per la maggior parte da ex professionisti ebrei americani e non ci sono sabra a vestire la casacca blu e bianca. Sono loro che stanno trascinando un team che fino a una settimana fa era 41esimo nel ranking mondiale a una sorprendente scalata verso il vertice del baseball: Israele ora si gioca i quarti di finale in quella che è la più importante competizione per nazionali di questo sport.
Come scrive il Washington Post, la maggior parte degli israeliani con tutta probabilità non sapeva nemmeno di avere una squadra nazionale di baseball e neanche conosce le regole del gioco. Strike e fuori campo sono parole sentite nei film americani ma nulla più: sono circa 1000 le persone che in Israele ci giocano. Nel 2007 degli ebrei americani avevano cercato di fondare la Israel Baseball League. Il progetto ha avuto vita breve: una stagione e tutto è finito nel dimenticatoio.
Ora i fari si sono riaccesi grazie alle impreviste vittorie della nazionale in giro per il mondo: i giocatori sono tutti ebrei americani (tranne due che sono nati in Israele) e hanno preso la nazionalità israeliana. I critici li hanno definiti come dei mercenari (alcuni hanno visitato il paese per la prima volta solo pochi mesi fa) e nemmeno il ministro dello Sport Miri Regev sembrava a conoscenza della loro esistenza. “Sono il ministro dello Sport ma non pretendo di sapere chi sia ogni giocatore o ogni squadra”, le parole della Regev alla radio dell’esercito israeliano. Jerry Weinstein, coach della nazionale, ha spiegato che questa potrebbe essere l’occasione per far uscire dall’ombra questo sport, che in Israele non ha grandi sostenitori. “Smettiamola di fingere che questi giocatori realmente rappresentano Israele, perché ho dei dubbi che qualcuno che non vive in un paese e che non lo ha mai visitato possa veramente sviluppare un affetto verso di esso”, ha scritto su Yedioth Ahronoth Guy Leiba. “Non vi è alcuna differenza tra questi giocatori e velocisti africani che scelgono di rappresentare i paesi arabi per pochi dollari”, la sua aspra critica. Il Forward, giornale ebraico americano, non è d’accordo: “si tratta di ebrei che si sono organizzati sotto una bandiera e un inno comune, credendo nel valore collettivo, gareggiando su un palcoscenico mondiale, trovando le proprie eccellenze e superando ogni probabilità”. Una storia che suona familiare.
d.r.
(12 marzo 2017)