Solido e affidabile, un Paese che merita l’A+

aviram levy 2Di recente l’agenzia di rating Moody’s ha confermato il rating “A+” allo Stato d’Israele, un “punteggio” che equivale a giudizio complessivamente molto favorevole: esso rappresenta il quinto di dieci voti “utili” (la Germania ha il primo, gli USA il secondo, l’Italia il decimo). Poiché il rating di un paese rappresenta un giudizio dell’affidabilità di un debitore (nella fattispecie il Tesoro israeliano, che emette obbligazioni) può essere interessante esaminare in dettaglio quelli che l’agenzia considera i punti di forza e di debolezza del “debitore Israele”.
Secondo Moody’s i punti di forza di Israele come emittente di titoli di Stato sono numerosi. In primo luogo il consolidarsi del suo status di economia ad alto reddito medio, che nel contempo riesce a mantenere anche elevati ritmi di crescita. In secondo luogo, l’essere una economia competitiva e flessibile, che ha saputo assorbire senza scossoni numerosi shock economici e politici interni ed esterni. In terzo luogo, i conti con l’estero molto solidi: un elevato avanzo commerciale, un debito estero basso, un elevato volume di investimenti israeliani all’estero. Infine, l’avere a disposizione una ampia e fedele platea di investitori sia interni sia esteri.
Non mancano tuttavia punti di debolezza e rischi: un debito dello Stato ancora elevato (circa il 60 % del PIL), sebbene calante; un sistema politico e partitico frammentato e litigioso; rischi e preoccupazioni di natura geopolitica, in particolare le relazioni conflittuali con i palestinesi dei territori occupati e le minacce militari dei paesi confinanti, soprattutto Siria e Iran. Due di questi punti di forza e di debolezza individuati da Moodys meritano una attenzione particolare, per alcuni aspetti paradossali.
Il primo paradosso è che, secondo l’agenzia di rating, Israele beneficia di una elevata “solidità delle istituzioni”: nonostante il sistema politico instabile, in parte conseguenza di un sistema elettorale rigidamente proporzionale, le autorità di politica economica hanno affrontato la crisi economica e finanziaria mondiale del 2008 con grande abilità. Se il merito è stato in prima battuta del Ministro del Tesoro e della Banca centrale, che tengono le le principali leve di politica economica, alle loro spalle c’erano governi sorprendentemente coesi e un Parlamento che, seppure litigioso, nei momenti cruciali si è comportato (ossia ha votato le leggi) con grande responsabilità.
Il secondo paradosso nei giudizi dell’agenzia di rating è collegato ai rapporti con gli Stati Uniti: sebbene con Trump i rapporti tra Israele e gli USA non potranno che migliorare rispetto alla presidenza Obama, secondo Moody’s questo riavvicinamento potrebbe rivelarsi, e qui sta il paradosso, dannoso per l’economia israeliana: esso rende infatti probabile una sospensione del processo di pace con i palestinesi e con il mondo arabo per un periodo indefinito. Perché secondo Moody’s un fallimento del processo di pace sarebbe dannoso per Israele? Per due motivi: da un lato lo stato di conflitto distoglie ingenti risorse finanziarie e umane da altre attività (basti pensare alle pesanti tasse necessarie per finanziare la elevata spesa militare), dall’altro lato il crescente isolamento diplomatico di Israele preclude lo sviluppo di commercio e interscambio.

Aviram Levy, economista

(2 aprile 2017)