Guardarsi allo specchio 50 anni dopo

Schermata 2017-06-04 alle 17.08.33Il 5 giugno 2017 segna i 50 anni dalla Guerra di Sei giorni. Durante il conflitto – scatenato dalla volontà dei paesi arabi di distruggere Israele – l’esercito israeliano conquistò territori che triplicarono le sue dimensioni e riunificò Gerusalemme, ponendola sotto il suo controllo. Sebbene il paese decise successivamente di cedete la maggior parte delle zone conquistate in un accordo di pace con l’Egitto, la guerra cambiò non solo i confini ma anche gli equilibri interni alla politica israeliana, aprendo una frattura ideologica che da allora, da mezzo secolo, rimane ancora aperta. Oggi, i sostenitori della “Grande Israele” – tra cui si distinguono posizioni diverse, che vanno da quella del Presidente Reuven Rivlin a quella del partito nazionalista HaBayt HeYehudi di Naftali Bennet – sostengono il continuo controllo dei territori della Giudea e Samaria (noti internazionalmente come Schermata 2017-06-04 alle 17.08.47Cisgiordania o West Bank) e il rafforzamento al loro interno degli insediamenti ebraici. Un controllo che è, agli occhi di chi ha questa posizione, espressione del diritto storico del popolo ebraico sulla Terra d’Israele nonché una necessità fondamentale per la sicurezza. Dall’altra parte ci sono coloro che sostengono il ritiro dalla Giudea e dalla Samaria e credono che il compromesso territoriale sia presupposto per la pace con i palestinesi. Il perpetuarsi della situazione attuale, dicono i secondi, in cui i residenti della stessa zona non godono di uguali diritti, getta una nube pesante sul futuro democratico di Israele.
Schermata 2017-06-04 alle 17.07.27In questo quadro è interessante dare uno sguardo ad alcuni dei dati del report sulla società israeliana pubblicati dall’Israel Democracy Institute, think tank con base a Gerusalemme. Nel report, basato su dati del 2016, ci sono diverse statistiche che inquadrano sentimenti diffusi all’interno del mondo israeliano e raccontano delle sue divisioni (ebrei- arabi, sinistra-destra). Prima statistica presentata, la percentuale di israeliani che si dicono orgogliosi di esserlo: l’81 per cento ha risposto in modo affermativo. È immaginabile che tra quel 19 mancante ci sia una quota di arabi israeliani, che rappresentano il 20 per cento della popolazione. E infatti alla domanda, “ti senti parte dello Stato e dei suoi problemi”, l’84 per cento degli ebrei ha detto sì a fronte di un molto più basso 39 per cento degli arabi. Fa Schermata 2017-06-04 alle 17.09.00riflettere poi il fatto che in generale, il 40 per cento degli israeliani descriva la sua situazione come così-così, a maggior ragione in un paese economicamente forte e che vanta una disoccupazione bassissima. In generale comunque, scrivono i redattori dell’indagine, gli israeliani si dicono ottimisti ma c’è una grande differenza nelle risposta date da chi dice di essere di sinistra, di centro e di destra: solo il 44 per cento dei primi si dice ottimista, si sale al 64 per i secondi, e si va ancora più in alto – molto di più – con i Schermata 2017-06-04 alle 17.07.48terzi, ovvero all’82 per cento. Queste significative differenze tra destra e sinistra sembrano riflettere quella divisione citata all’inizio sulla questione dei territori del ’67 e sul processo di pace. A mezzo secolo dal conflitto, sottolineano dall’Israel Democracy Institute, questa spaccatura deve essere affrontata. Lo stesso ente ha portato alla luce in queste ore nuovi dati che raccontano il pensiero della maggioranza della società israeliana: secondo il 62 per cento degli israeliani il controllo esercitato sulla Cisgiordania non è una forma di occupazione. Il 65 per cento ha poi detto di non essere d’accordo con l’affermazione secondo cui Israele, vinta la Guerra del ’67, “avrebbe dovuto cedere subito i territori conquistati e avviare trattative con gli Stati arabi per arrivare a un accordo di pace globale”.

d.r., Pagine Ebraiche Giugno 2017

(4 giugno 2017)