Informazione, un colpo di mano
che desta inquietudine

della-pergolaQualsiasi medio cultore della teoria del colpo di stato sa bene che il primo atto da compiere verso la conquista del potere è l’occupazione della sede della Radio-Televisione nazionale. Eliminate sommariamente le persone presenti, la forza occupante inizia a trasmettere marce militari, poi arriva una voce che annuncia a breve un comunicato di importanza straordinaria, infine appare il nuovo leader con un grande discorso in diretta che promette onore, pace e prosperità per la nazione.
In Israele in questi giorni è avvenuta una cosa completamente diversa. Chi si è impossessato della Radio-TV non è un oscuro movimento insurrezionale bensì il governo in carica regolarmente eletto. Il leader è il Primo Ministro in persona, legittimamente al potere. E invece di marce militari vengono radiotrasmesse vecchie e nostalgiche canzoni degli anni ‘50 e ‘60. Il personale, in attesa dei nuovi padroni, è rimasto solo per l’ordinaria amministrazione, e nel far funzionare a fuoco lento la Radio-TV di Stato non ha trovato di meglio che rimettere in circolazione delle vecchissime raccolte di registrazioni che andavano in onda decine di anni fa (e che io ricordo perfettamente di avere ascoltato centinaia di volte nel corso degli ultimi cinquant’anni). Sono pigri e romantici motivi degli anni ‘50 e ‘60, con molto Paul Anka, Neil Sedaka, Connie Francis, Elvis Presley, e come sigla inconfondibile, quel Charmaine di Mantovani e la sua orchestra del 1958 – per sentire basta andare su youtube.

C’è anche la versione israeliana di Maruzzella, Maruzzé (1956) – Ma hu ‘osé la, Ma hu ‘osé… (Che cosa le fa, Che cosa fa…). Queste canzoni ci rimandano a un periodo più tranquillo e ingenuo, quando non vi era proprio sentore di guerra dei Sei giorni, ma nemmeno esistevano l’OLP, i territori occupati, Hamas e le votazioni Unesco.
Cos’è successo? Un giorno Bibi Netanyahu ha deciso che la Reshut Hashidur-Israel Broadcasting Authority (IBA), l’Autorità di Stato per le trasmissioni radio e TV fondata nel 1951, ossia l’equivalente israeliano della RAI, non era più adatta alla bisogna. Forse perché troppo indipendente e troppo poco ossequiosa verso il potere. Con l’aiuto dei suoi collaboratori, in primo luogo Gilad Erdàn – all’epoca ministro delle comunicazioni, oggi alla sicurezza interna – si è deciso di chiudere la IBA, di licenziare i suoi 2000 dipendenti e di creare in sua vece una nuova corporazione radiotelevisiva (denominata KAN). La giustificazione ufficiale era quella di scarsa efficienza, ritardi tecnologici, personale pletorico e disoccupazione strisciante. Ma la motivazione vera era anche il bisogno non solo di lottizzare il potere mediatico ma anche di controllarlo direttamente dalla centralina di governo. La KAN come organismo sostitutivo solo in parte e selettivamente avrebbe assorbito la forza di lavoro della preesistente IBA e avrebbe soprattutto assunto nuovi raccomandati. Stupefacente, nel contesto, la debolezza o l’assenza di fatto dei sindacati nel difendere i diritti dei licenziati e delle loro famiglie – sia pure con il riconoscimento di un’indennità proporzionata all’età e al numero di anni di attività. Senonché, i portaborse di Bibi, in particolare l’On. David Bitan, il cianotico e rauco capo della coalizione parlamentare, si sono accorti improvvisamente che anche fra gli impiegati designati della nuova KAN vi erano delle persone non proprio di ortodossa inclinazione pro-governativa.
Bitan ha spiegato in televisione: “Nelle pagine Facebook di alcuni di costoro sono state rintracciate delle espressioni critiche del governo, al limite di sinistra”. Allora con uno spettacolare U-turn, Netanyahu (nel frattempo, con un lampante conflitto di interessi, divenuto lui stesso ministro delle comunicazioni) e i suoi hanno iniziato una intensa campagna contro la nuova KAN e a favore della ricostituzione della vecchia IBA – ossia contro l’incredibile iniziativa autoritaria che portava la loro stessa firma. Dopo uno
stretto corpo a corpo col ministro del tesoro Moshé Kahlon, che si era intanto eretto a difensore della KAN, alla fine si è giunti a un compromesso – stavo per dire tutto italiano, in realtà tutto israeliano. Ricordate Berlusconi, il primo ministro allo stesso tempo padrone della RAI e delle TV private? Un pivellino. In Israele, soppressa definitivamente la vecchia IBA, la nuova KAN è stata spezzata in extremis in due tronconi, uno per le notizie, l’altro per le rimanenti produzioni. Ne conseguirà senza dubbio il caos più totale in mancanza di una direzione centrale, dunque ancora maggiore influenza per i politici. Inoltre, nel negoziato per ottenere il sostegno dei diversi partiti della coalizione, sono state assegnate nuove stazioni radio trasmittenti a vari partiti, fra cui Shas di Arieh Der’i e Israel Beitenu di Yvette Liberman – un atto non di lottizzazione ma di svendita dell’influenza radiotelevisiva sulle bancarelle della politica. La data di attuazione del progetto più volte posticipata è stata infine anticipata a sorpresa, e con un sola ora di preavviso gli autori e gli annunciatori della televisione israeliana hanno appreso che quella in corso era la loro ultima trasmissione. Così israel channel 1 shut downdurante il telegiornale in diretta, quelli della IBA hanno improvvisato una dimostrazione di protesta e di nostalgici ricordi, conclusa con molte lacrime e con il canto dell’inno nazionale di Hatikwah. Poi schermo buio e, appunto, i vecchi pigri padelloni degli anni ‘60. Finché la nuova autorità radiotelevisiva non sarà in grado di mettere insieme un palinsesto rinnovato e più fedele al regime. Bibi con sincere lacrime di coccodrillo ha criticato il modo in cui si sono svolte le cose, peraltro concepite e orchestrate da lui stesso. Quanto al ministro Erdan che nel frattempo è scomparso dalla circolazione, l’editorialista del Maariv-SofHashavua Ben Caspit ha argutamente scritto che ha subito un’operazione per l’asportazione della spina dorsale. Va aggiunto che per fortuna in Israele esistono ancora diversi canali televisivi privati: il canale 22 molto impegnato sul fronte dei reality ma con un buon telegiornale, il canale 10 molto vivace nella critica documentaria e politica, e perfino il canale 20 che invece ostenta un viso molto benevolo nei confronti del primo ministro e della sua ineffabile consorte. Lo spazio radiofonico è invece dominato da Galé Zahal, la radio dell’esercito, che è in realtà un organo di informazione e di ricreazione altamente indipendente e popolare. L’intera vicenda, comunque la si guardi, è imbarazzante o per lo meno senza precedenti per chi abbia a cuore la libertà di stampa. L’attacco della coalizione di governo alle strutture portanti della società israeliana non si ferma alla Radio-TV, ma punta a ben altro.
Nei riguardi della Corte Suprema si cerca di elaborare una riforma che permetta al parlamento di aggirare i verdetti di incostituzionalità delle leggi. La nuova proposta di legge sulla Nazione (ancora non operante) stabilisce la supremazia del principio di ebraismo sul principio di democrazia, e sopprime lo statuto dell’arabo come seconda lingua ufficiale dello Stato d’Israele. È in gioco, in altre parole, lo Stato d’Israele come lo abbiamo conosciuto per 69 anni. In definitiva, David Ben Gurion, il grande architetto della fondazione dello Stato era uomo di sinistra, sia pure della social-democrazia moderata. Molte delle strutture da lui impiantate all’inizio dello Stato ricordavano da vicino il centralismo delle economie socialiste di quell’epoca. Ma Ben Gurion sottolineava la predominanza dello statalismo rispetto al movimentismo, dell’unione delle forze per conseguire gli obiettivi comuni rispetto al frazionamento dei movimenti ideologici. E Ben Gurion era anche un profondo conoscitore del testo biblico. Oggi forse c’è chi vorrebbe rifondare lo Stato d’Israele su altri principi, più vicini al fermento messianico nazionale-territoriale-religioso di una cospicua parte dell’attuale coalizione governativa. Il colpo di mano sulla Radio-TV di Stato è un esempio che fa riflettere sullo stato della democrazia israeliana – ancora l’unica democrazia in Medio Oriente.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(4 giugno 2017)