Emigrazione israeliana: i numeri di una scelta
Israele è uno dei paesi nei quali l’indice di ottimismo è fra i più elevati del mondo. L’ottimismo riflette le valutazioni sulle condizioni economiche personali e collettive attuali e previste per il prossimo futuro, lo stato di salute, la situazione familiare, l’alloggio, la qualità della vita, e molti altri indicatori. Esiste, è vero, il problema della sicurezza, sia al livello macro-strategico della potenza iraniana, sia al livello micro-tattico dell’accoltellatore dilettante in libera uscita. Questi fattori raccomandano cautela e saggezza, e introducono un elemento di insicurezza nella vita quotidiana. Si tratta di fenomeni ciclici da seguire attentamente. In complesso, per lo meno relativamente ad altri momenti storici, le cose vanno abbastanza bene. Allo stesso tempo lo sport nazionale in Israele è il continuo lamentarsi che le cose vanno male: nella politica, nelle discussioni al bar, nelle serate familiari in salotto o davanti alla televisione. Una delle conclusioni di questi piccoli simposi è che il paese è invivibile, e l’unica cosa che resta da fare è andarsene. Emigrare. E tutto questo, dopo che tutti gli indicatori di fatti e opinioni dimostrano manifestamente il contrario.
Resta la curiosità, anzi il dovere, di accertare che cosa stia realmente avvenendo con l’emigrazione da Israele: valanga inarrestabile di masse o stillicidio di individui? Quali sono le tendenze? Riassumiamo alcuni dati dell’Ufficio Centrale di Statistica – l’integerrimo e professionalissimo CBS (in ebraico: la Lishkà, l’Ufficio). I dati definitivi sono sempre in ritardo di un anno o due perché per definire che una persona è emigrata bisogna attendere un tempo sufficiente dal momento della partenza. Un “emigrato” è tecnicamente una persona assente dal paese per 12 mesi consecutivi. D’altra parte un “cittadino che ritorna” è una persona che rientra in Israele dopo aver trascorso 12 mesi consecutivi all’estero. Nei cinque anni 2010-2014, ci sono stati in totale 38 milioni e 782.693 di ingressi in Israele, di cui 22 milioni e 864.400 cittadini israeliani, contro 38 milioni 631.900 di partenze dal paese, di cui 22 milioni 942.300 israeliani. Queste cifre quasi incredibili per un paese di 8 milioni e
700.000 abitanti danno un’idea dell’intensità dei contatti tra Israele e il resto del mondo. Molte di queste partenze e di questi arrivi sono di persone che viaggiano e soggiornano all’estero più di una volta nel corso di un determinato anno. Israele è parte integrante della vita economica, accademica, turistica nell’era della globalizzazione. Vivere in Israele non significa rimanere posteggiati a vita, e questo è vero oggi in una certa misura per tutti i paesi del mondo. L’emigrazione definitiva non può essere completamente isolata da altri tipi di partenza temporanea e di ritorno al paese di residenza. È molto difficile definire l’emigrazione permanente, perché si può sempre tornare dopo qualche anno, o anche soggiornare a lungo termine all’estero, ma tornare per brevi periodi di tempo, rompendo così il periodo di permanenza di un anno all’estero che è il principale indicatore del numero di migranti. Questa incertezza aiuta a nutrire un ricorrente discorso selvaggio e in parte inspiegabile sul numero degli “emigranti” israeliani all’estero.
Secondo le misure dei flussi correnti, il numero degli emigranti da Israele oggi è simile o inferiore a quello che era in passato, e visto che la popolazione israeliana è notevolmente cresciuta, la percentuale di emigranti è molto più bassa rispetto al passato. L’emigrazione riflette fondamentalmente fattori economici, in primo luogo la situazione dell’occupazione e dei redditi e le opzioni disponibili per l’avanzamento nelle carriere personali in Israele. C’è una chiara e inversa relazione tra i principali indicatori economici e la tendenza a lasciare il paese. Se focalizziamo in particolare sui giovani, il numero dei cittadini di età 25-34 che hanno lasciato tra il 2005 e 2014 e non sono tornati appare nella Figura 1. I dati per gli anni più recenti creano un’illusione ottica perché chi è partito non ha avuto abbastanza tempo per tornare rispetto a chi è partito prima. Negli anni dal 2005 al 2009 i numeri sono stati stabili, ma dal 2010 esiste un certo aumento.
La Figura 2 drammatizza la tendenza: la percentuale dei giovani in età compresa tra i 25 e i 34 che lasciano rispetto al totale dei loro coetanei è più che raddoppiata tra il 2010 e il 2013. Tuttavia, le percentuali sono estremamente basse: ogni anno siamo a circa la metà dell’1% o meno rispetto all’intera fascia d’età.
La Figura 3 invece sdrammatizza, ma è necessaria per mostrare il quadro completo: è la percentuale delle persone di età 25-34 che non hanno lasciato il paese, tutto il tempo molto vicina al 100%. Come si vede, presentando gli stessi dati in modo differente si ottiene un’impressione differente o addirittura opposta. Certo non si può ignorare il fatto che spesso gli israeliani che vanno via, in particolare i giovani, sono talenti e comportano una perdita per il paese. Molti mettono a profitto all’estero la formazione che hanno acquistato in Israele. Ma è anche vero che Israele ha tratto enorme beneficio dall’ondata di immigranti dall’ex-URSS, la cui formazione spesso di alto livello era avvenuta all’estero. Esiste sempre un ritorno di giovani israeliani che sono partiti anni prima, e questo in qualche modo bilancia coloro che continuano a emigrare.
La Figura 4 mostra quanti israeliani tornano dopo aver trascorso tre anni o più all’estero, secondo l’anno di partenza. Di nuovo chi è partito più tardi ha avuto meno anni di tempo per rientrare. Ma i dati possono essere anche interpretati nel senso di una certa erosione nella tendenza a tornare in Israele dopo un lungo soggiorno all’estero.
Quello che conta veramente è il saldo migratorio degli israeliani, cioè la differenza tra il numero di cittadini che partono e tornano secondo l’anno di partenza. I dati per tutti i gruppi di età combinati indicano una incremento nel disavanzo negli ultimi anni, da -5.400 nel 2010 a 7.300 nel 2013 (e a -8.200 secondo il dato aggiornato al 2015). L’osservazione dei saldi migratori negativi secondo l’età (Figura 5) per il 2013 mette in evidenza il gruppo 15-24 con una perdita netta di 2.200, con saldi decrescenti fra i più anziani. Interessante anche il disavanzo tra i bambini, di cui 1.500 sotto i 5 anni e 1.000 fra i 5 e i 14 anni.
Oltre al ritorno di numerosi israeliani che sono partiti negli anni precedenti, ogni anno arrivano in Israele 4-5.000 cittadini nati all’estero, che possiedono la cittadinanza israeliana dei genitori ma non hanno mai vissuto in Israele (Figura 6). Questo rientro di bambini e giovani, in aumento rispetto ai decenni precedenti, indica una tendenza a non interrompere la connessione con Israele da parte di chi si trasferisce all’estero.
In complesso, l’emigrazione da Israele non è alta rispetto ad altri paesi. Parte dell’emigrazione annuale è compensata dal frequente rientro degli emigranti degli anni precedenti e dai cittadini israeliani nati all’estero. Tuttavia l’impressione è che negli ultimi anni sia aumentato il numero di giovani israeliani che vanno all’estero per un soggiorno prolungato. Bisogna capire se l’aumento è reale e riflette un’espansione quantitativa delle tendenze del passato, o se si tratta di una tendenza nuova. Oltre ai soliti motivi economici può esserci insoddisfazione per la vita, mancanza di identificazione con il discorso politico e l’andamento generale della società (compreso il problema di sicurezza), un’indebolimento dell’identità ebraica e israeliana, e anche le difficoltà di assorbimento in Israele degli immigrati più recenti.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme