Oltremare – Made in Italy
Basta guardare dall’altra parte del banco di un qualunque bar o ristorante serio che vende caffè in qualunque parte del mondo, e l’orgoglio italico ci riempie. Una Favorita o una La Cimbali possono essere più rappresentative di ambasciatori, conferenze internazionali e patti bilaterali. In Israele come in molti altri paesi del mondo, le macchine made in Italy sono tutte intorno a noi ma spesso non le vediamo: se ne stanno nei laboratori, nelle fabbriche, nei campi. Per esempio nei negozi di gelati che producono gelati veri e non misture a base di polverine industriali. Lì, le macchine per fare i gelati sono italiane per definizione. Certo anche i cinesi ne fanno di quasi perfettamente identiche, ma ho il sospetto che avere una macchina italiana aumenti di molto la professionalità del gelataio – con una macchina come quella non potrebbe anche volendo fare del gelato mediocre, E viceversa, non si permetterebbe di fare del gelato mediocre avendo un gioiello di macchinario. È un circolo virtuoso, che purtroppo non funziona abbastanza bene per i maltrattatori seriali di macchine del caffè, capaci di servire caffè bruciacchiato e cappuccino con schiuma mucillagginosa. Ma si sa, in Israele fare il barista non è un mestiere: è un modo per pagarsi gli studi. Quindi è inutile aspettarsi qualità – al massimo si può ottenere un bel sorriso e la franca ammissione di non sapere che cosa sia un “macchiato”. Di recente invece, mi è capitato di vedere con i miei occhi in uso una macchina italiana per il raccolto delle olive. In questi giorni in tutta Israele si fa il raccolto, e questa macchina entra sotto ogni albero, scuote rapidamente i rami dalla base e fa cadere tutte le olive nel giro di pochi secondi. Un telo srotolato alla base dell’albero viene poi subito arrotolato e le olive divise dalle ben poche foglie cadute insieme a loro. Il fattore entusiasta – senza sapere da dove vengo – mi dice, eh, è una macchina italiana! E quindi farà un olio buonissimo. Fede nell’Italia, almeno al livello delle macchine, ce n’è da vendere da queste parti.
Daniela Fubini, Tel Aviv