Gerusalemme capitale, una guida per i perplessi
La dichiarazione di Donald Trump sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele ha immediatamente polarizzato il discorso sulla città e su Israele. Cosa cambia? Di fatto nulla: il presidente Bill Clinton lo aveva già promesso nel suo programma elettorale nel 1992 e il Congresso lo aveva approvato nel 1995. Peraltro, l’ambasciata americana rimane a Tel Aviv, e ci resterà almeno fino al 2020. I luoghi santi delle tre grandi religioni sono tutti sotto la tutela delle rispettive autorità, che ne garantiscono il libero accesso, e continueranno ad esserlo. L’autorità sul Monte del Tempio/Spianata delle Moschee compete al Wakf musulmano sotto la tutela del Regno ascemita di Giordania, e così sarà. Gerusalemme è la capitale dello Stato d’Israele dal 1948, e continua ad esserlo, e tutti lo sanno. È dal 1948 che gli stati del mondo non riconoscono Gerusalemme come capitale, con l’eccezione di alcuni piccoli paesi centroamericani in passato, eppure tutti gli ambasciatori se vogliono presentare le loro credenziali al presidente della repubblica o incontrare il Primo ministro o il ministro degli Esteri devono percorrere la Statale n. 1 per salire a Gerusalemme dalle loro ambasciate di Tel Aviv. Il non riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele dal 1948 al 1967 non ha ovviamente nulla a che fare con l’annessione dei quartieri orientali dopo la Guerra dei sei giorni: nemmeno i quartieri occidentali sono stati riconosciuti fin qui come parte di Israele. È vero che il piano di spartizione dell’ONU e la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947 includevano Gerusalemme e Betlemme in un corpo separato governato direttamente dall’ONU. E dunque ciò che non viene riconosciuto non sono i confini quelli successivi al 1967, bensì quelli stabiliti dagli armistizi del 1949. Il problema non è il mettersi in pace con Gerusalemme, bensì con Israele. La dichiarazione Trump, d’altra parte, esplicitamente non pregiudica gli esiti di una trattativa fra israeliani e palestinesi sui confini specifici della sovranità israeliana su Gerusalemme o la definizione delle frontiere contese fra le parti. Il governo israeliano ha reagito con manifestazioni di gioia e di euforia. In una auto-intervista senza precedenti con una telecamera nella propria vettura, Netanyahu con la voce ingrossata dall’emozione ha detto che la dichiarazione Trump insieme alla dichiarazione Balfour e alla dichiarazione di indipendenza di Ben Gurion è uno dei tre avvenimenti principali dell’ultimo secolo. Lo segue su questa linea di pomposo riduttivismo la vice-ministro Tzipi Hotoveli – che in mancanza di un vero ministro degli Esteri ha accesso illimitato alla stampa. L’opposizione israeliana ha invece reagito a Trump con molta freddezza mettendo in luce i forti costi di fronte agli scarsi benefici inerenti al suo discorso. Il presidente americano potrebbe essere motivato dall’urgente necessità di deviare diversa per le due parti. Ma reazione di fronte a che cosa? Che cosa pensano di ottenere l’Anp e Hamas con la violenza? Che Israele si dissoci dalla dichiarazione americana? O forse la distruzione di Israele? La reazione primitiva e demagogica di grandi o piccoli gruppi palestinesi facilmente manipolati rivela la faziosità concettuale di chi negando la parte israeliana di Gerusalemme in realtà vuole negare il tutto. Semmai le reazioni violente in seguito alla dichiarazione Trump dovrebbero essere rivolte contro le ambasciate americane
in tutto il mondo, se ne hanno il coraggio, non contro Israele che non ha fatto nulla. Oltre a tutto Gerusalemme est era stata offerta dal primo ministro israeliano Ehud Olmert al presidente palestinese Mahmud Abbas insieme al 95% della Cisgiordania, ma lui aveva rifiutato: quell’Abu Mazen il cui mandato presidenziale è scaduto nel 2010 e che da allora governa senza alcuna legittimità popolare.
Ci sono poi gli altri paesi e la loro falsa ingenuità. Prima di tutto la Chiesa che per 59 anni non ha riconosciuto Roma come capitale d’Italia. Sarebbe più onesta una posizione che, sottolineando l’interesse a preservare le comunità cristiane, stabili in Israele ma in fuga dai territori palestinesi, richiami alla calma e condanni in maniera inequivocabile il ricorso alla violenza. Poi c’è l’Italia. Delle 124 ambasciate italiane all’estero quella di Tel Aviv è l’unica che non si trova nella città capitale. La Farnesina dunque non ritiene che vi siano altri conflitti nel mondo bisognosi di estrema cautela diplomatica e di una carta strategica da usare alla fine della trattativa. L’Unione Europea coordinata da Federica Mogherini ha espresso fremiti di sincera indignazione. Ma qual è la politica italiana?
Torna in mente la polemica scoppiata dopo il 21 aprile 2016, quando il Comitato Esecutivo dell’Unesco approvava una decisione relativa ai luoghi santi di Gerusalemme. Dal testo mancava l’espressione ‘Monte del Tempio’ e si indicava la Spianata solo come ‘al-Haram al-Sharif’ e sede delle moschea di al-Aqsa. Il documento non solamente sceglieva un codice linguistico escludendone un altro, come se Gesù avesse predicato in arabo davanti alle moschee e non in ebraico o aramaico davanti al Tempio. In tale occasione l’Italia si era astenuta ma cinque paesi dell’Unione Europea avevano votato contro. Il Comitato dei Cittadini Italiani in Israele (Com.It.Es.) di Gerusalemme, preso atto dell’esito della votazione del Comitato Esecutivo dell’Unesco, il 26 maggio 2016 esprimeva “il proprio disappunto riguardo a un testo che appariva come un oltraggio alla storia e una inutile provocazione ai danni del popolo ebraico; esprimeva, inoltre, un sentito rincrescimento per l’astensione dell’Italia in questa votazione”; e richiedeva “al Governo italiano, attraverso la propria rappresentanza presso l’Unesco, di adoperarsi per far re-inserire la dicitura ‘e del Tempio’ accanto alla definizione ‘Spianata delle Moschee’ nelle decisioni del Comitato Esecutivo dell’Unesco”. Il Console Generale d’Italia a Gerusalemme Davide La Cecilia (oggi ambasciatore italiano in Ucraina) rispondeva il 24 giugno ringraziando per la lettera portata all’attenzione dell’allora Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ma evidenziava che “essa rappresentava un’iniziativa che esulava dai compiti che l’art. 2 della legge n. 286 del 2003 affida ai Comites. La Collettività ha naturalmente piena facoltà di manifestare in altre forme le proprie opinioni alle più alte Istituzioni delle Stato” si leggeva nella risposta, che decodificata significava: non vi immischiate in faccende non vostre. Venivano poi spiegate le argomentazioni alla base dell’astensione italiana che “intendeva dare un segnale di equilibrio in un quadro europeo polarizzato; era maturata a seguito del fallimento di vari tentativi di ricalibratura della bozza, esperiti dall’Italia nel corso di ripetuti contatti negoziali con la Delegazione palestinese. Ne era derivato un testo che, pur contenendo elementi in linea con la posizione italiana (quali, ad esempio, la necessità di preservare lo status quo dei siti a tutela Unesco, il riferimento ai danni al patrimonio culturale causati dal muro di sicurezza, ecc.), si presentava come divisivo. Ciò non solo per la mancanza della dicitura ‘Temple Mount’ accanto ad ‘Al Aqsa Mosque’, ma anche per la pretesa palestinese di inserire nel testo valutazioni di carattere politico che, sebbene presenti in risoluzioni adottate in altri consessi multilaterali (e dall’Italia pienamente condivisi), esulano dalle competenze specifiche dell’Unesco”. Riassumendo: un miscuglio di opposizione e condivisione, senza coraggio e chiarezza. Tornando a Trump, potrebbe essere però che si tratti di un primo aperitivo gratuito offerto a Israele. Il pasto è ancora tutto da servire. E alla fine del pasto Trump potrebbe presentare un conto piuttosto salato, e Israele le sue concessioni a Gerusalemme Est dovrà pur farle.
Nota: Quanto precede rappresenta un’opinione personale che non coinvolge le due istituzioni nelle quali svolgo funzioni rappresentative come presidente della Hevràt Yehudé Italia beIsrael e consigliere del Comites Gerusalemme.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme, Pagine Ebraiche 2017