…profughi

Ho firmato anch’io una delle numerose petizioni che circolano in Israele contro l’espulsione dei rifugiati dall’Africa. Sono oggi circa 40.000 persone giunte negli scorsi anni soprattutto dall’Eritrea e dal Sudan. In passato, ogni notte, intere carovane di profughi valicavano il confine di Israele nel deserto del Negev dopo avere attraversato l’Egitto. In Egitto, i profughi venivano inseguiti dalle forze di sicurezza, in parte feriti e uccisi, finché, chi riusciva, arrivava al confine israeliano. Sul comportamento degli egiziani non mi pare di aver mai letto una riga di biasimo. Questi ingressi di profughi africani facevano parte di un movimento molto più ampio di terroristi palestinesi e di ISIS infiltrati dal Sinai, di commercio di armi e droga, oltre che di prostitute dopo un lungo periplo dall’Europa orientale. Il flusso è interamente cessato da quando Israele ha costruito un muro di separazione lungo gli oltre 200 km di confine con l’Egitto. I profughi africani entrati fino a quel momento sono stati prima inviati in centri di raccolta con il divieto di lavorare. Una parte si sono dileguati e si sono concentrati nei quartieri meridionali poveri di Tel Aviv, creando forte disagio e frizione con gli abitanti locali. Recentemente il governo Netanyahu, ispirato dal ministro degli interni Deri, ha deciso di espellerli tutti sostenendo che non sono perseguitati politici bensì migranti economici in cerca di lavoro, e anche che queste 40.000 persone mettono in pericolo l’identità nazionale ebraica dello Stato d’Israele dove peraltro vivono 1 milione e 800.000 arabi. Molte di queste persone hanno intanto messo su famiglia e hanno bambini nati in Israele che parlano solo ebraico. Non possono ovviamente rientrare nei loro paesi di origine, e allora è stato deciso di spedirli verso paesi africani terzi, in primo luogo il Ruanda, dove peraltro saranno stranieri discriminati come in qualsiasi altro paese. L’alternativa offerta è il carcere in Israele senza limiti di tempo. Ci sono molte testimonianze di espulsioni già effettuate e terminate con fame, violenza subita, e anche morte. L’opinione pubblica israeliana si sta mobilitando in questi giorni ritenendo l’espulsione uno strumento inaccettabile, soprattutto per un paese come Israele in cui la grande maggioranza della popolazione vanta un passato di espulsioni e un’esperienza di rifugiati. Sono già state raccolte alcune migliaia di firme di piloti dell’El Al che hanno annunciato che si rifiuteranno di pilotare gli aerei, di medici, di assistenti sociale, di educatori, di intellettuali, anche di un piccolo gruppo di rabbini ortodossi. Se proprio nei giorni in cui si parla di Memoria non si riescono a capire le lezioni e le analogie della storia, vuol dire che purtroppo anche in Israele si è persa la ricetta della torta.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme