L’economia israeliana tra luci e ombre
A metà marzo una delegazione del Fondo monetario internazionale (FMI) ha concluso il suo esame annuale dell’economia israeliana e ha reso pubbliche le sue raccomandazioni. Come sempre il giudizio del FMI è molto importante sia per le autorità israeliane sia per gli investitori esteri, che lo considerano alla stregua di un “rating” o di un indicatore di affidabilità di un paese. Ebbene anche quest’anno la “pagella” del FMI è nel complesso lusinghiera ma non mancano alcune “insufficienze”.
Nell’insieme l’economia israeliana ha un’ottima performance, con una elevata crescita del prodotto (3,4% nel 2017), un tasso di disoccupazione che sta calando ai minimi storici, conti pubblici e bilancia dei pagamenti che non destano preoccupazioni.
Ci sono tuttavia due importanti fattori di debolezza, non nuovi, che secondo il FMI rendono gli elevati tassi di crescita del PIL degli ultimi anni non sostenibili nel tempo.
In primo luogo Israele registra il più elevato tasso di “povertà relativa” (ossia la differenza di reddito e ricchezza tra la fetta più ricca e quella più povera della popolazione) tra i paesi dell’OCSE (ossia quelli industriali): tale poco invidiabile primato è riconducibile in buona parte al divario di partecipazione alla forza lavoro, di istruzione e di salario che si osserva tra la minoranza dei haredim e degli arabi israeliani da una parte e il resto della popolazione dall’altra. La rapida crescita demografica di queste due minoranze (la loro quota di forza lavoro salirà tra il 2015 e il 2045 dal 25% al 40%) potrebbe mettere a rischio la crescita e la stabilità dell’economia.
Il secondo ostacolo alla crescita dell’economia israeliana è rappresentato secondo il FMI dall’ingente “deficit” di infrastrutture, che provoca gravi problemi di congestione del traffico automobilistico; anche in termini di congestione delle strade Israele risulta ultimo in classifica tra i paesi industriali.
Quali rimedi per questi due talloni d’Achille dell’economia israeliana? Maggiori investimenti in istruzione per ridurre le disparità di reddito e investimenti in infrastrutture di trasporto per ridurre i problemi di congestione. Entrambe queste ricette non sono facili da applicare perché richiedono enormi risorse finanziarie e tanta lungimiranza, entrambi fattori che purtroppo non abbondano neanche presso la classe politica israeliana.
Da ultimo una nota positiva, ossia il fatto che nel giudizio del FMI il mercato immobiliare israeliano non è più considerato una “minaccia” per la stabilità economica e sociale del paese: i prezzi delle abitazioni hanno rallentato molto il loro ritmo di crescita (2% nel 2017 nella media nazionale) e le compravendite lo scorso anno sono calate. Tuttavia il FMI esorta a non abbassare la guardia perché nonostante i livelli dei prezzi ancora elevati l’apertura di nuovi cantieri edilizi sta rallentando e non è escluso che questo calo dell’offerta provochi di nuovo rialzi dei prezzi.
Aviram Levy, economista, Pagine Ebraiche Aprile 2018