La manifestazione a Tel Aviv
La piazza unita per Rabin

Migliaia di persone si sono recate in piazza Rabin a Tel Aviv per ricordare il Primo ministro e Premio Nobel per la pace, assassinato in quello stesso luogo il 4 novembre 1995. L’evento ha visto la partecipazione di rappresentanti di tutto l’arco politico israeliano, tra cui il ministro della cooperazione regionale Tzachi Hanegbi (Likud), il leader dell’opposizione Tzipi Livni (Unione sionista), il leader di Yesh Atid Yair Lapid, il capo dell’Unione sionista Avi Gabbay e il capo di Meretz Tamar Zandberg. Per il secondo anno consecutivo la commemorazione è stata organizzata da Darkenu, un movimento che afferma di voler “rafforzare la maggioranza moderata degli israeliani ad esercitare un’influenza sulla politica governativa e sul discorso pubblico”. Se il ricordo di Rabin per lo più unisce, meno l’interpretazione della sua eredità e di cosa abbia significato il suo assassinio da parte di un estremista ebreo, Yigal Amir, che si opponeva agli accordi di Oslo.
Prima della manifestazione di Tel Aviv, Darkenu aveva annunciato che “quest’anno ci si concentrerà sul mettere in guardia contro un’atmosfera di divisioni e di incitamento” prima delle prossime elezioni nazionali del prossimo anno. Ricordando come il discorso pubblico era “violento e incendiario” prima dell’uccisione di Rabin 23 anni fa, gli organizzatori hanno fatto appello a tutto lo spettro politico affinché si mantenga “una retorica civile”.
“Ogni anno facciamo discorsi e organizziamo cerimonie, eppure assistiamo l’erosione della centralità di questo omicidio e di ciò che significa nel discorso pubblico israeliano”, ha detto il Presidente Reuven Rivlin durante la cerimonia commemorativa presso la sua residenza a Gerusalemme. “La nostra generazione – che ha visto come un semplice assassino, codardo e criminale, sparò a Rabin alle spalle – non potrà mai guarire. Quella generazione non dimenticherà mai, e non perdonerà mai, sicuramente non perdonerà se stessa. E noi, noi siamo quella generazione. La generazione sotto la cui sorveglianza è avvenuto l’omicidio”. “Ma la verità è che la sfida non è per la nostra generazione, ma per quelle che verrano dopo di noi”, ha ammonito Rivlin. “Nei 23 anni che sono passati dall’omicidio, abbiamo attraversato tempi difficili. Guerre e iniziative politiche controverse. Ogni volta, e nonostante la polarizzazione delle opinioni, abbiamo evitato momenti terribili come questo. Siamo guariti? Non ne sono sicuro. Non lo so”.
Dal palco di Tel Aviv il messaggio della sinistra israeliana è che il Paese non è guarito, anzi. Tzipi Livni, Avi Gabbay, Tamar Zandberg hanno puntato il dito contro il Likud e contro il Primo ministro Benjamin Netanyahu. “Basta leggere i post del Primo ministro, vedere i suoi video, ascoltare i suoi discorsi, leggere i discorsi violenti che questi venti malvagi incoraggiano: [Ideologie] che accusano chi la pensa diversamente di tradimento, di mettere in pericolo la nazione – ha dichiarato Livni – Coloro che lavorano per la pace non sono traditori”. Anche Gabbay ha accusato Netanyahu di incitare a una politica dell’odio citando gli attacchi “contro la polizia e il capo di Stato Maggiore, contro il Presidente, contro i media, contro la Corte Suprema”. “Un governo che incoraggia l’odio tra fratelli non è un destino inevitabile”, ha detto Gabbay. Attraverso i social è arrivata la risposta di Benjamin Netanyahu: “È un peccato che la cerimonia commemorativa del primo ministro Yitzhak Rabin sia diventata una riunione politica. Coloro che parlano di libertà di espressione cercano di mettere a tacere chiunque non sia d’accordo con loro”. Bersaglio dei fischi durante la cerimonia, il ministro della cooperazione regionale Tzachi Hanegbi, vicino a Netanyahu. Il pubblico presente, riporta Yedioth Ahrnoth, “ha chiesto ad Hanegbi di scusarsi per un raduno del 1995 contro gli accordi di Oslo, che si tenne in Piazza Sion a Gerusalemme un mese prima dell’assassinio di Rabin, con discorsi dei leader della destra dell’epoca, tra cui Netanyahu, l’ex primo ministro Ariel Sharon, l’ex presidente Moshe Katsav e il ministro Rehavam Ze’evi, poi ucciso (da terroristi palestinesi). I partecipanti al raduno chiesero che Rabin venisse cacciato e di annullare gli accordi di Oslo, mentre le foto di Rabin in uniforme nazista furono esposte da alcuni tra la folla”. Hanegbi ha respinto le richieste di scusarsi, dicendo: “Non ero su quel balcone; non ero a quella manifestazione in ci ci furono i discorsi di incitamento. Sono orgoglioso della lotta che ho condotto contro gli accordi di Oslo. Era legittima”, ha detto il ministro a Yedioth Ahronot. “Non dobbiamo mai dimenticare perché Gerusalemme è andata in rovina, perché il Secondo Tempio è andato in rovina: a causa dell’odio. – ha dichiarato Hanegbi nel suo discorso – L’assassino di Yitzhak Rabin era disposto a portarci a un’altra rovina. Voleva controllare la storia, controllare noi cittadini. Voleva uccidere un’anima per uccidere una politica, anche a costo di uccidere la democrazia e persino a costo di una guerra civile”. “Dobbiamo sempre ricordare che siamo tutti fratelli. – ha aggiunto – Questo è il modo per preservare insieme il nostro paese, il paese per la cui protezione ed esistenza ha combattuto Rabin, ed è stato ucciso perché ha agito sulla base delle sue convinzioni, con cui non ero d’accordo, ma erano le sue”.