“Medio Oriente, garantire la stabilità
è un obbligo morale per gli Usa”

Schermata 2019-03-21 alle 13.52.05“Gli Stati Uniti sono il più importante alleato strategico di Israele e apprezziamo profondamente ciò che fate per la sicurezza di Israele e della regione. I nostri paesi sono alleati e credo che siamo d’accordo sulle sfide e le opportunità della nostra regione”. Così il presidente d’Israele Reuven Rivlin nell’accogliere il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, in visita in Medio Oriente (Kuwait, Israele e Libano le tappe del suo viaggio) per parlare della stabilità della regione. “Signor Presidente, sono sicuro che lei sappia che Israele non ha un amico migliore degli Stati Uniti. Queste non sono solo parole, è ciò che facciamo quotidianamente per il bene di entrambi. Gli Stati Uniti hanno l’obbligo morale e politico di impedire che le forze ostili erodano la stabilità regionale, ed è quello che faremo”, ha garantito Pompeo, che nel corso della sua giornata a Gerusalemme ha visitato lo Yad Vashem e l’ambasciata americana nel quartiere Arnona, accompagnato dall’ambasciatore David Friedman. Non ne ha parlato Pompeo ma secondo i media locali funzionari israeliani e americani dicono che si aspettano un annuncio sul riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità israeliana sulle alture del Golan già la prossima settimana, quando il primo ministro Benjamin Netanyahu visiterà Washington per il congresso dell’Aipac. Una notizia ancora non accertata e non commentata dal Segretario Usa che nell’incontro con Rivlin – così come quelle successivo con il Primo ministro Benjamin Netanyahu – si è concentrato sulle varie sfide regionali, in particolare sul confine settentrionale d’Israele, sulla costituzione di forze iraniane in Siria e in Libano, sul sostegno di Teheran a Hezbollah e, nella Striscia di Gaza, a Hamas. In queste ore il movimento terroristico è tornato sotto la luce dei riflettori, questa volta non per le aggressioni a Israele ma per le dure repressioni interne: nell’enclave che Hamas controlla da dodici anni, si sono registrate forti mobilitazioni per protestare contro le terribili condizioni di vita e i manifestanti hanno puntato il dito contro il movimento terroristico. “Non c’è un’agenda politica”, ha detto uno degli organizzatori della protesa, Amin Abed, 30 anni, all’Associated Press. “Vogliamo semplicemente vivere dignitosamente. Chiediamo solo a Hamas di alleviare le difficoltà economiche e gli oneri fiscali”.
La disoccupazione a Gaza è superiore al 50 per cento, ancor più alta per i giovani laureati come Abed. L’acqua del rubinetto è imbevibile, l’elettricità è limitata e il governo di Hamas ha recentemente aumentato le tasse su beni di base come pane, fagioli e sigarette. Da qui le proteste, una “reazione agli anni di cattiva gestione economica di Hamas”, scrive sul New York Times Brett Stephens, ricordando dove il movimento terroristico ha speso molti dei milioni di dollari che il Qatar gli ha regalato. “Nel 2014, il Wall Street Journal ha riferito che Hamas ha speso circa 90 milioni di dollari per costruire tunnel per attaccare Israele, con un costo medio di quasi 3 milioni di dollari ciascuno. Il materiale dedicato ad ogni tunnel, riporta il Journal, era ‘sufficiente per costruire 86 case, sette moschee, sei scuole o 19 cliniche mediche’. Tre guerre contro Israele, ciascuna iniziata da Hamas, hanno anche avuto il loro tributo in vite umane, feriti, infrastrutture e isolamento”. La crescente insofferenza ha portato alle proteste, represse nel sangue da Hamas: decine di manifestanti arrestati, attivisti picchiati e soppressione violenta dei tentativi dei media locali di coprire i disordini. “Queste proteste sono state le più grandi, le più lunghe e le più violente in termini di soppressione di Hamas”, ha spiegato all’Associated Press Mkhaimar Abusada, professore di scienze politiche all’Università al-Azhar di Gaza. Le manifestazioni sono “un messaggio di rabbia per Hamas: la situazione è insopportabile e deve riconsiderare tutte le sue politiche”.