Israele verso le elezioni
“Arabi israeliani, votate”

Schermata 2019-04-04 alle 13.03.54Il 20 per cento della popolazione israeliana è composta da arabi. Una minoranza importante da cui arrivano, rispetto alcuni fronti, segnali significativi d’integrazione: il numero di studenti arabi che hanno concluso un dottorato di ricerca in un’università israeliana è più che raddoppiato in 10 anni (dal 2008 al 2018, si è passati da 355 a 759); anche sul fronte dell’impiego di insegnanti arabe c’è stato un incremento ma a preoccupare questa realtà è la politica del governo. “Basta delegittimazione degli arabi” afferma Maisam Jaljuli, membro del sindacato Histadrut nonché rappresentante di un partito di sinistra Hadash che unisce arabi ed ebrei. Laureata in Criminologia e Sociologia e con un Master in leadership educativa, Jaljuli è da tempo un’attivista che da un lato combatte le discriminazioni interne al settore arabo (in particolare a favore dell’emancipazione delle donne), dall’altro lotta per riequilibrare le disuguaglianze all’interno dell’intera società israeliana. “Il problema è questo continua attacco nei confronti degli arabi. Siamo un quinto della popolazione d’Israele e facciamo parte di questo stato. Non siamo dei traditori e il clima che sento sia nelle strade come nei vertici politici mi preoccupa”, afferma Jaljuli. Alla domanda su come definisce la sua identità, afferma: “Sono una palestinese cittadina d’Israele. E non c’è contraddizione, proprio come se parli di un ebreo israeliano, italiano, francese”. Jaljuli è tra coloro che chiedono la cancellazione totale della Legge sulla nazione ebraica votata dall’ultima maggioranza di governo perché la definisce un modo per far sentire gli arabi cittadini di serie b. E ricorda che anche il presidente Rivlin si è detto contrario alla norma. “Il mio auspicio è che molti arabi non si facciano spaventare dalla retorica delegittimante ma che si attivino e partecipino alla vita democratica del paese, andando a votare. Solo così, attraverso il percorso democratico, possiamo far valere i nostri diritti”. L’altro auspicio è che nel paese sia insegnato in modo più ampio ed efficace l’arabo: “Non è piacevole camminare per le strade di Tel Aviv al telefono, magari dire a un familiare in arabo che gli voglio bene e ricevere sguardi preoccupati come se fossi una potenziale terrorista. Conoscere entrambe le lingue avvicina i popoli, ci rende più comprensibili l’un l’altro e toglie molte diffidenze”.

d.r.