Tzipi Livni, la protagonista mancata
Nel settembre 2008, la carriera politica di Tzipi Livni raggiunse il suo momento apicale. Kadima, il partito fondato da Ariel Sharon e di cui Livni era una colonna portante, aveva conquistato 29 seggi alla Knesset contro i 27 del Likud guidato da Benjamin Netanyahu. L’allora presidente di Israele, Shimon Peres, le chiese di formare un governo dopo che Ehud Olmert aveva presentato le sue dimissioni chieste a gran voce dalla stessa Livni. Lei iniziò subito una febbrile trattativa per mantenere la coalizione di governo, questa volta sotto la sua guida ma circa un mese dopo tornò alla Residenza del Presidente con la notizia di aver fallito nella missione: “Sono stanca di estorsioni, vedremo tutti questi eroi tra 90 giorni”. Si tornò alle elezioni il 10 febbraio del 2009. Nel mezzo, ci fu l’operazione Piombo fuso a Gaza che Livni gestì dal punto di vista diplomatico, essendo ministro degli Esteri. In quel frangente tenne una posizione molto dura e si guadagnò il rispetto degli elettori che la premieranno riconoscendo nuovamente Kadima come primo partito del Paese. Ma i 28 seggi ottenuti – uno in più del Likud non le bastarono a trovare gli alleati necessari per formare una coalizione di governo. Sarà Netanyahu a spuntarla e a diventare Premier, un ruolo che da allora non ha più lasciato. Sul più bello, proprio quando sarebbe potuta diventare la seconda Premier donna d’Israele dopo Golda Meir, Livni vide svanire il sogno e da allora la sua carriera politica è stata sostanzialmente una continua discesa. Dall’essere considerata da riviste come Time e Newsweek come una delle donne più influenti della politica mondiale, dal rappresentare il volto d’Israele nelle trattative di pace per la soluzione dei due Stati, Livni è diventata progressivamente sempre meno rilevante sul piano nazionale. Apprezzata all’estero, ma non più tanto dall’elettorato israeliano. E così trovatasi di recente senza partito, dopo l’improvviso – e poco elegante – benservito datole dal leader laburista Avi Gabbay con cui condivideva l’alleanza nel Campo Sionista, Livni, dopo 20 anni ininterrotti alla Knesset, ha deciso di lasciare la politica. “Lascio la politica, ma non permetterò alla speranza della pace di lasciare Israele. Vivo internamente un conflitto per continuare a combattere, ma non abbiamo abbastanza potere politico per realizzare da soli le cose come le vorremmo” ha detto nel suo discorso di addio, segnato dalle lacrime, inusuali per un personaggio considerato sempre molto controllato e composto. Il suo addio a molti è suonato come la dimostrazione che il processo di pace non è più una questione che interessa l’elettorato israeliano. “In queste elezioni, la questione palestinese non ha alcuna importanza o nessuna rilevanza per il pubblico votante” ha spiegato a Npr l’ex diplomatico israeliano Alon Pinkas, sottolineando che Livni era l’unica ad aver posto il tema della pace al centro. Anche perché era l’argomento che aveva messo al centro della sua carriera: “In un certo senso, ho pagato il prezzo per aver parlato chiaramente e ad alta voce della necessità di raggiungere la pace, della necessità di mantenere Israele come democrazia”, ha dichiarato in una recente intervista, affermando che Netanyahu ha delegittimato le sue opinioni “chiamando coloro che predicano per la pace ‘la sinistra che coopera con il nemico’”. Per Livni il problema non è solo “sostituire Netanyahu. Ma è per sostituire il cammino che ha intrapreso Israele. Credo che la scelta sia tra un’Israele ebraica, democratica, in pace con i palestinesi e l’annessione e una minor democrazia”. Livni sulla soluzione dei due Stati si è discostata dai suoi stessi genitori, due figure celebri della destra israeliana: Eitan Livni e Sara Rosenberg furono membri di primo piano dell’Irgun, il braccio armato del sionismo revisionista di Zeev Jabotinsky. I due si incontrarono durante un’operazione di sabotaggio di un treno britannico. “Mio padre e mia madre erano combattenti per la libertà, non terroristi. Ed è molto importante dirlo, non perché si tratta dei miei genitori, ma perché hanno agito contro l’esercito britannico, e non contro i civili. E questa è una distinzione che deve essere fatta anche oggi. Non posso accettare chi dice: ‘Chi per qualcuno è un terrorista per qualcun altro è un combattente per la libertà’”, ha più volte detto Livni. Di recente ha ricordato che i suoi genitori “avevano un sogno. Credevano nel diritto del popolo ebraico su tutta la terra”. Intesa anche la Cisgiordania e non solo come dimostra la mappa incisa sulla loro tomba. Tzipi Livni ha scelto un’altra strada dimostrando quel carattere forte che le ha permesso di essere selezionata negli anni ’80 come operativo del Mossad. L’analista politica Ronen Berger racconta del perché Livni lascio i servizi segreti israeliani: “A un certo punto le chiesero di firmare un foglio in cui si impegnava a non rimanere incinta per i successivi cinque anni. Lei rispose ‘non ho intenzione di rimanere incinta ma non ho intenzione neanche di firmare una cosa del genere’. E se ne andò. Ci vuole carattere a fare una cosa simile in quegli anni”. Laureata in legge si candiderà nelle fila del Likud nel 1996 rimanendo fuori però dalla Knesset dove entrerà tre anni più tardi. Nel 2005 sceglie di seguire il suo padre politico Ariel Sharon e fondare con lui il partito Kadima. Sono i suoi anni d’oro, gli anni dell’ascesa in cui ricopre diversi ruoli ministeriali e si conquista il rispetto degli alleati per il suo modo di fare duro ma corretto. “Fin da piccola Tzipi è sempre stata una leader, attenta agli altri, che credeva molto in se stessa e lottava per i suoi principi”, il ricordo dell’amica d’infanzia Mirel Gal a Yedioth Ahronot. Per Gal, la decisione di Livni è una perdita per il paese. Ma “La migliore prima ministra che Israele non ha mai avuto”, come l’ha descritta un titolo di Haaretz, non è esente da critica: considerata fredda e distaccata, durante le elezioni del 2009 il suo entourage dovette quasi costringerla a stringere più mani e ad essere più calorosa con gli elettori e con chi incontrava. “Era una bravissima diplomatica”, la valutazione della giornalista Allison Kaplan Sommer, ricordando che come capo negoziatore per Olmert andò vicina alla firma di un piano di pace con i palestinesi. “Ma non credo che la si possa definire una politica di successo visto come è finita la sua carriera”. Per Kaplan Sommer, il grande errore politico di Livni è stato abbandonare Kadima nel 2011 dopo aver perso le primarie e decidere di fondare un partito suo, invece di rimanere e aiutare a costruire un solido centro. “In quel momento ha perso in termini di integrità”. In più, sottolinea ancora la giornalista, Livni non si è mai impegnata a curare il sostegno dal basso: “Quando vuoi essere una leader devi essere sicura che ci sia qualcuno che ti segue. Tra un’elezione e l’altra, non ha mai fatto molto per crearsi uno zoccolo duro che la sostenesse”. Un elemento che ha pagato caro, sacrificando la sua possibilità a diventare realmente Primo ministro. Magari sarebbe potuta essere la migliore. Ma gli israeliani, a meno di miracoli politici, non lo sapranno mai.
Daniel Reichel