La vittoria di Benjamin Netanyahu e gli effetti della politica personalizzata
“La chiave di lettura è che Israele è un paese normale, che non è isolato dal mondo e riflette quindi le sue tendenze. Come negli altri Stati, anche Israele si spinge sempre più verso il nazionalpopulismo. Si pensava potesse esserci un cambiamento, ma alla fine non c’è stato”. È il commento a caldo del demografo Sergio Della Pergola a Pagine Ebraiche rispetto alle elezioni israeliane che hanno visto il blocco della destra guidato dal Premier Benjamin Netanyahu surclassare ancora una volta quello del centro-sinistra, questa volta rappresentato dall’ex generale Benny Gantz. “Avevo previsto un risultato finale di 65 a 55 seggi e così è stato. – spiega Della Pergola, consultato dai principali media israeliani e italiani per le sue analisi sulla società e sulla politica d’Israele – I due partiti più grandi, Likud e Kachol Lavan, hanno prosciugato quelli più piccoli, attraendo voti nei rispettivi schieramenti. E a guadagnarci è stato soprattutto Netanyahu: con i 35 seggi ottenuti dal Likud avrà una posizione di assoluta dominanza nella coalizione e il Primo ministro potrà imporre la sua intelligenza. Inoltre, potrà probabilmente far passare senza tanta difficoltà una legge che lo renda immune dalle inchieste a suo carico”. Da tempo si parla infatti dell’introduzione di una norma che dia una forma di immunità a chi ricopre il ruolo di Primo ministro da eventuali procedimenti a carico: Netanyahu al momento ne ha tre e alcuni suoi alleati – tra cui Bezalel Smotrich, del partito della destra radicale Unione Nazionale (HaIhud HaLeumi) – hanno già fatto capire di essere disponibili a far passare una legge che lo tuteli e garantisca la durata della legislatura per tutti i quattro anni di mandato.
Nel guardare il risultato elettorale, Della Pergola giudica negativamente la forte personalizzazione della politica portata avanti da Netanyahu. “Tutta questa campagna si è concentrata su di lui. Non si è parlato di contenuti e questo la dice molto sulla situazione d’Israele. Il Paese sta bene e per questo non ha interesse a cambiare. Molti dicono ‘non sappiamo cosa ci sarà dopo e siamo disposti a rimanere con lui a qualunque prezzo’”. Anche l’alto astensionismo è interpretato dal demografo come un sostanziale opportunismo disinteressato: le cose vanno bene per cui non serve andare a votare. Sul fronte opposto, Kachol Lavan è riuscito a incanalare le inquietudini di chi non vuole Netanyahu al governo ma anche qui sono mancati i contenuti. “Gantz è riuscito ad ottenere 35 seggi alla sua prima uscita politica. Per un novizio è un risultato straordinario. D’altra parte anche sul lui non ha fatto proposte concrete, Kachol Lavan non aveva un’agenda chiara se non l’essere contro Bibi”. Chi in teoria doveva avere una chiara piattaforma in contrapposizione con quella di Netanyahu, ovvero la sinistra laburista, ha visto il suo consenso crollare. “I laburisti hanno perso ben 18 seggi, una vera disfatta. Chi è riuscito a mobilitare ancora una volta il suo elettorato sono invece i partiti Haredi che hanno guadagnato tre seggi e dimostrato la propria coesione”. Severo anche il giudizio di Della Pergola sull’elettorato arabo israeliano, la cui affluenza continua ad essere bassa e addirittura minore rispetto all’ultima tornata elettorale. “È incredibile la capacità dei cittadini arabi di non perdere occasioni per perdere occasioni”. Non capire che per incidere sulla propria condizione è necessario partecipare al processo democratico, spiega il demografo, è di una “stupidità politica che lascia senza parole”. D’altra parte è il processo democratico a sancire invece una volta di più la vittoria di Netanyahu, di cui Della Pergola, profondamente critico verso il Premier, riconosce la grande abilità politica e oratoria. Rispetto alla tendenza di Israele verso destra, Della Pergola sottolinea invece un elemento: “seppur non sia affatto significativo per gli equilibri elettorali, è da notare che la compagine di centro-sinistra ha guadagnato due seggi rispetto alle passate elezioni”. Un piccolo spostamento c’è stato dunque ma, sottolinea il professore, a patto che il voto dei soldati non cambi la situazione, riportando il partito della Nuova Destra alla Knesset. Il Likud in ogni caso ha tenuto grazie al carisma di Netanyahu, che però – e lo stesso Della Pergola lo ha sottolineato più volte – ha fatto il vuoto attorno a lui. Nessuno sembra in grado di raccoglierne l’eredità. E per il futuro politico del Likud questa personalizzazione potrebbe risultare un problema.
Daniel Reichel