Israele – Vincere le elezioni ma non governare
“And in the end always to return to the beginning”. Citano, con un po’ d’ironia, una strofa del cantante israeliano Idan Raichel (Lifney She’Yigamer – prima che finisca) Enrico Catassi e Alfredo De Girolamo per raccontare la vittoria di Pirro alle ultime elezioni di aprile del Primo ministro Benjamin Netanyahu. Lo fanno nel volume Netanyahu re senza trono (thedotcompany), una breve e puntuale guida sulla situazione politica israeliana dopo l’incredibile scelta di sciogliere la Knesset e tornare alle urne il 17 settembre. Il volume è stato presentato nelle scorse ore a Firenze da De Girolamo e dal redattore di Pagine Ebraiche Daniel Reichel. Di seguito la prefazione del libro a firma del giornalista di Sky Renato Cohen.
Sulla tela del vestito di Arlecchino ci sono tante macchie colorate differenti; se si sceglie un punto e lo si guarda con la lente d’ingrandimento quella parte, blu, rossa, nera, di qualsiasi colore sia, sembrerà enorme, quasi uniforme. Ho passato buona parte del giorno del voto di aprile in Israele nel mercato centrale di Gerusalemme. Non è il classico mercato fatto solo di banchi di frutta, macellai e pescivendoli. A Machanè Yeuda, questo il suo nome, ci sono bar, locali alla moda, turisti e gente che passeggia senza necessariamente fare la spesa. È però un punto di quel grande Arlecchino che si chiama Israele: una macchia di colore importante, che si ripete in tante altre parti del Paese.
A Machanè Yeuda si discute del voto in corso e due parole si ripetono ossessivamente dai banconi e dai tavolini del bar: rak Bibi (solo Bibi). Siamo nel mercato di Gerusalemme ma potremmo essere in una periferia di tante città europee. Gli argomenti sono gli stessi: «Sono ignorante? – dice una signora discutendo con un collega israeliano – Sì, sono ignorante. Mi tengo Bibi e la mia ignoranza. Voi radical chic tenetevi i vostri amici arabi se vi piacciono tanto!». «Quelli di sinistra hanno stufato. Non si può essere buoni con tutti», ci dice un uomo sulla sessantina che giura di aver votato Rabin negli anni Novanta.
Si sviluppa un piccolo dibattito intorno ai tavolini del bar Aroma. Il nostro operatore video è un israeliano di Tel Aviv, ex combattente commando della guerra del ’67, poi hippie, prima di convertirsi al business della tv. Prova a dire che Bibi è disonesto e corrotto e che i razzi sul sud d’Israele arrivano lo stesso nonostante le sue promesse di difesa. Non lo avesse mai detto! «I magistrati – dice un religioso che si offre di pregare insieme ai passanti – sono pagati al soldo della sinistra [vi ricorda qualcosa?] e Bibi è l’unico che può difendere Israele, visto che tutto il mondo lo vuole distruggere». «Tu – replica una signora – vuoi la fine d’Israele, la vuoi dare agli arabi!». Detto a chi ha combattuto i siriani sul Golan rischiando più volte la vita, sembra un po’ improprio. Ma il clima è questo: chi vuole la pace è un ingenuo buonista; chi è contro Bibi è un ricco radical chic. Discorso chiuso.
Israele è un Arlecchino, più di tanti altri Paesi multietnici. La sua storia ne ha fatto un Paese unico al mondo ma è pur sempre uno Stato che vive il nostro tempo. E il vento che tira qui da noi in Europa tira anche lì. Basta con le élite che non si preoccupano dei bisogni e delle istanze del popolo. E poco importa se a governare è uno dei politici più longevi della storia del Paese. Non importa se Netanyahu è un figlio di Rehavia, il quartiere bene di Gerusalemme, che sarebbe come a dire un pariolino a Roma. Non importa se proprio lui è rampollo di una famiglia di intellettuali, di destra, ma intellettuali! Lui è ormai il popolo. Parla chiaro, non fa sconti ai nemici, almeno a parole… E, cosa più importante, non ha nessuno in grado di comunicare come lui e nessuno che riesce a mettere in campo un vero progetto alternativo.
Non c’è grande alternativa, ma come hanno dimostrato gli ultimi sviluppi il Paese è stato richiamato a votare e Bibi non è riuscito a mettere insieme una maggioranza di governo. La democrazia parlamentare israeliana è frastagliata, quasi più del Paese. E come questo, una parte di essa è poco integrata, è partecipe solo a metà: sono i partiti espressione della minoranza araba. Gli arabi israeliani sono circa il 20%, ma i loro partiti ottengono circa il 10% dei voti. Gli elettori arabi sono stufi non solo di vivere nelle zone più trascurate dai servizi pubblici, non solo di essere oggetto di attacchi dalla destra israeliana, ma anche dei loro leader: pensano troppo ai palestinesi dei territori, dicono, si preoccupassero invece degli elettori che li mandano in Parlamento!
In effetti, quando con la lente d’ingrandimento ci avviciniamo a un colore del vestito di Arlecchino, appare a sua volta costituito da diverse sfumature che a distanza non si vedono. Le vedono e le conoscono benissimo Enrico e Alfredo, che da anni frequentano e girano per le strade di tutto il Paese. Il loro unico interesse è quello di conoscere più persone e più idee possibile, e di capire. E comprendono che più si conosce Israele e i territori palestinesi e meno li si capisce. La semplificazione della realtà è difficilissima, le sue possibilità d’interpretazione infinite. Catassi e De Girolamo ci raccontano a ritroso una settimana di vita d’Israele, a cavallo delle elezioni del 9 aprile. Una settimana importante, ma anche una come tante ce ne sono state nella storia della nazione. Passata con Enrico e Alfredo, in giro per tutta Israele, conosceremo molto di più della sua realtà arlecchinesca e saremo finalmente in grado di poter consapevolmente dire… di non aver capito nulla!
Renato Coen, responsabile Esteri Sky Tg24