Cosa c’è dietro la “Dat”
Nel primo capitolo del Rotolo di Ester, versetto 8, troviamo la frase: “Si poteva bere senza limiti, così infatti aveva voluto il re”. Ma dal testo ebraico si evince che il vino fluiva come raccomanda la norma dell’ospitalità oppure l’usanza di chi decreta la legge, cioè con grande abbondanza e generosità regale. Vehashetiya Kadat, dice il testo in ebraico e Dat in lingua farsi significa norma e legge. Dat appare più volte nella narrazione rocambolesca della salita al potere di Ester e Mardocheo. Nell’Ottavo sec. a.e.v, spiega la prof. Tamar Eilam Gindin, il persiano iniziò a penetrare nell’idioma ebraico e alcune parole come Pur (sorte), Limon (Limone) e Balagan (Disordine) si fecero strada con l’esilio di Senncherib. Altre invece si insediarono tranquille e beate nel vocabolario biblico attraverso l’uso dell’aramaico. Vocaboli persiani più moderne come Bazar e Bakshish, sono arrivati per vie ancor più elaborate, attraverso l’arabo, turco, ladino e inglese. Dal Quindecimo secolo la parola Dat ha tralasciato il significato tecnico della connotazione giuridica e normativa del termine. Con le discussioni spirituali e filosofiche di grandi studiosi personaggi come Yehuda Halevi e dopo di lui, il rav Yosef Albo, presentarono meditazioni e conclusioni sull’esistenza della Dat come esistenza naturale, normativa e divina. Oggi quando nominiamo il concetto di dat Yehudit, apriamo un sipario in cui serbiamo tesori millenari, giuridici ed etici.
Sarah Kaminski, Università di Torino, Pagine Ebraiche Agosto 2019