La fede, Israele e la Diaspora a confronto

Schermata 2019-08-12 alle 14.37.15All’ultimo congresso internazionale di filosofia del diritto, tenutosi all’università di Lucerna lo scorso luglio, Lucia Corso – docente di filosofia del diritto e già in passato intervistata per Pagine Ebraiche – ha tenuto un intervento dedicato al concetto di generalità della legge attraverso un confronto tra Aristotele e Maimonide. Tra i diversi aspetti emersi dalle analisi di Corso un ruolo a sé – poiché correlato al concetto di generalità, ma anche pregnante al di là di questo – rivestiva quello del legame tra prescrizioni (nello specifico quelle della Torah) e limite. Concetto di limite che – ricordava Corso – si palesa in particolare rispetto a quelle prescrizioni non riconducibili, dall’intelletto, a spiegazione razionale. Prescrizioni da rispettare – cui adempiere – in quanto tali. Il tema del limite sembrerebbe così coessenziale alla centralità dell’aspetto prescrittivo, del valore della norma in quanto risultato del Matan Torah – in quanto rivelazione, secondo una concezione che non sembrerebbe lontana da quella cui faceva riferimento Leibowitz, nella sua polemica contro le letture giusnaturalistiche, o eticizzanti, della Tradizione.
In uno dei passaggi del suo dat: mehok le’emunà Abraham Melamed, già docente all’università di Haifa, dedica diversi paragrafi al particolare significato che la parola “dat” riceve negli scritti di Maimonide. Questi, scrive Melamed, le avrebbe attribuito un significato “nuovo e rivoluzionario”, transitando da quello di “legge” – secondo la ricorrenza originaria della parola dat nella Meghillat Ester – a quello di “fede”. Dove la ricostruzione di Melamed, ancorché passi dalla filologia, si vuole genealogica. La ricostruzione dei modi d’uso delle parole è delucidazione di storia delle idee e, quindi, porta di accesso ai presupposti o implicazioni filosofiche delle stesse. La filologia sfuma in filosofia, secondo un gesto che, in ben altro stile e contesto, fu già di Nietzsche. Da questo punto di vista, secondo Melamed, il nuovo significato attribuito da Maimonide alla parola dat si accorda “a quella visione generale che sottolinea il dovere del figlio di Israele di rafforzare e applicare le credenze corrette”, laddove “l’intenzione corretta va al di là dell’espletazione dei precetti (mizvot)”. Non già perché questi passino in secondo piano bensì perché la loro messa in pratica diverrebbe “mezzo vitale per portare il figlio di Israele al completamento del corpo e della coscienza”, condizione necessaria “per giungere alla completezza dell’intelletto, ossia alla fede veritiera nella divinità”. L’accento, chiosa Melamed, sarebbe dunque riposto su “fede” e “intenzioni”. Sull’interiorità del singolo soggetto. Posizione, ricorda il docente israeliano, che sarà rifiutata dalla maggioranza del mondo ebraico medioevale ma che, per via di nuove influenze (Cristianesimo e filosofia kantiana su tutte) diverrà viceversa egemone in epoca moderna.
Tra questi due punti è possibile cogliere degli elementi di contrasto e un comune filo conduttore. Da una parte, come è fisiologico in riferimento a un pensiero complesso come quello di Maimonide, vengono sottolineati due aspetti differenti. La centralità della funzione prescrittiva in Corso – così come, si diceva, nella polemica di Leibowitz. La centralità del fattore teologico, nella ricostruzione da parte di Melamed del nuovo significato della parola dat nell’economia di pensiero del Rambam. Dall’altra, a partire da queste differenti angolazioni, si pone un problema a tratti comune, ossia – a giudizio di chi scrive – quello dei rapporti tra i concetti (e le esperienze) di prescrizione, rivelazione e soggettività. Tanto – con Corso – è possibile riconoscere la funzione educativa dell’osservanza delle norme non razionalmente esplicabili, dunque il valore del limite, quanto – con Melamed – siamo portati a riconoscere l’intima connessione tra prassi e intenzionalità. In ambo i casi, in altre parole, emerge come azione e soggettività – “legge” e “fede”, per riprendere i termini di Melamed – facciano tutt’uno.

Cosimo Nicolini Coen