Israele, un’elezione senza vincitori
In attesa dei risultati definitivi, le elezioni israeliane hanno dato un chiaro responso: nessuno le ha veramente vinte, come è accaduto del resto ad aprile. Non il Primo ministro uscente e leader del Likud Benjamin Netanyahu la cui coalizione, formata da partiti di destra e haredi (religiosi), non arriva ai 61 seggi sperati per poter governare (si ferma a 56). E neanche il partito dei generali, Kachol Lavan (Blu e bianco), guidato dall’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz, che otterrà più o meno gli stessi seggi del Likud (32 dicono i dati quando lo spoglio è oltre il 90%) mentre sperava di superare di qualche seggio il partito di Netanyahu per aver maggior spazio di manovra nelle trattative post-elezioni. Chi ha tutte le armi per essere decisivo è invece Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beitenu, dato tra i 9 e 10 seggi, almeno quattro in più rispetto a quelli ottenuti ad aprile. Nelle scorse ore ha ribadito quanto detto in campagna elettorale: “Un mandato qui o là non cambierà il quadro, c’è solo una scelta: un governo liberale di unità nazionale”, il messaggio di Lieberman. Da Kachol Lavan non è ancora arrivata una chiara risposta in merito: “Auguriamo al popolo di Israele un buon e auspicabile governo di unità”, le parole di Gantz ai media appena uscito dalla sua abitazione nelle prime ore della mattina. La grande attesa è per cosa deciderà il Likud che parte da un punto fermo: nessun governo senza Netanyahu. Il leader, parlando dal palco di Tel Aviv quando sono cominciati a emergere i risultati, ha promesso che formerà “un governo sionista forte” che rifletta l’opinione di “molti dei cittadini della nazione”. Parole interpretabili come una possibile apertura agli avversari di Kachol Lavan ma le trattative saranno lunghe e complicate. Netanyahu in ogni caso è consapevole che la sua situazione è molto più precaria che in passato: ha perso sette seggi (contando quelli del partito Kulanu assorbito in estate) rispetto ad aprile e la sua aura di invincibilità si è incrinata. I partiti haredi – Shas (9 seggi) e Agudat HaTorah (8) -, storicamente al suo fianco, potrebbero cambiare i propri calcoli per evitare di perdere potere e magari rischiare di non far parte del prossimo governo.
Chi non ne farà parte sicuramente è la terza forza del parlamento, la lista unitaria dei partiti arabi, che ha ottenuto 12 seggi e ha visto un forte incremento del suo elettorato. Dopo il crollo di aprile, dove i partiti arabi si erano presentati divisi e in contrasto tra di loro, la lista unitaria ha ora una posizione di primaria importanza nell’arco della democrazia israeliana. E nel caso di governo di unità nazionale il presidente della compagine Ayman Odeh diventerebbe il primo arabo a capo dell’opposizione alla Knesset.
Nel prossimo parlamento israeliano entreranno inoltre – sempre secondo i parziali – l’alleanza di destra di Ayelet Shaked (Yamina) con 7 seggi, seguita dalla sinistra laburista (6) e dall’Unione Democratica (5). Fuori il partito di estrema destra Otzma Yehudit, ben al di sotto delle previsioni dei sondaggi che lo davano in grado di superare la soglia di sbarramento.
Daniel Reichel