“Come ebrei e israeliani dobbiamo difendere i curdi”
“Noi, come israeliani ed ebrei, non dobbiamo stare a guardare quando vediamo un’altra nazione abbandonata dai suoi alleati e lasciata indifesa”. “Noi ricordiamo molto bene il nostro sangue versato, sappiamo cosa succede quando le nazioni del mondo abbandonano al proprio destino un intero popolo”. E ancora, “Israele è un paese che ha i mezzi per aiutare il popolo curdo, ora è il momento di farlo”. Così recita l’appello firmato da decine di ufficiali riservisti dell’esercito israeliano (Tsahal) per chiedere al governo di Gerusalemme di aiutare i curdi nel nord della Siria di fronte all’operazione militare avviata dalla Turchia. A lanciare la petizione l’attivista e politico Yair “Yaya” Fink, maggiore in riserva di Tsahal, che ha radunato alcune centinaia di persone ieri a Tel Aviv per manifestare solidarietà al popolo curdo e chiedere al Premier Benjamin Netanyahu e al capo di Stato maggiore Aviv Kochavi di fare qualcosa. “I curdi hanno fermato un disastro mondiale. Israele potrebbe e dovrebbe fare di più”, le parole di Fink durante la manifestazione in riferimento alla lotta curda contro i terroristi di Daesh. Il suo auspicio è che Israele si impegni nel fare pressione a livello internazionale contro l’operazione turca oltre a garantire ai curdi “forniture alimentari, di abbigliamento, medicinali, consulenza militare e di intelligence”. Sul fronte operativo per il momento le autorità israeliane non si sono mosse, almeno non ufficialmente. Il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha però duramente criticato l’azione di Ankara e del suo presidente Erdogan: “Israele condanna fermamente l’invasione turca delle aree curde in Siria e mette in guardia contro la pulizia etnica dei curdi da parte della Turchia e dei suoi alleati. Israele è pronto ad estendere l’assistenza umanitaria al popolo curdo”, ha dichiarato Netanyahu, senza fare riferimento alla decisione del Presidente Usa Donald Trump di ritirare i soldati americani dal nord della Siria e dare il suo benestare all’operazione turca. Il via libera di Trump a Erdogan è stata interpretato da diversi analisti come un ulteriore pericolo per Israele: “La decisione di Trump di ritirarsi dal confine siro-turco è arrivata dopo mesi di discutibili mosse politiche che hanno messo gli israeliani estremamente a disagio – scrive Nathan Guttman sul giornale ebraico Moment – la prima è arrivata lo scorso dicembre con la sua scelta di ritirare 2.000 soldati dalla Siria, aprendo potenzialmente la strada a un ulteriore intervento iraniano. Poi è arrivata la mancata risposta all’aggressione dell’Iran nel Golfo e il suo corteggiamento pubblico del presidente iraniano Hassan Rouhani. Gerusalemme ha iniziato a vedere un nuovo Donald Trump: disinteressato della regione e delle sue complessità, desideroso di tagliare la corda, e sorprendentemente disposto a scambiare una dura postura diplomatica e militare per una stretta di mano e una foto-opportunity. Abbandonare i curdi in Siria è stata solo l’ultima goccia”.
In un editoriale su Yediot Ahronot, il più popolare quotidiano israeliano, Trump viene accusato esplicitamente di aver “abbandonato gli alleati senza battere ciglio e Israele potrebbe essere la prossima”. “L’intero equilibrio di potere in Medio Oriente è costruito su una delicatissima rete di sostegno, pressioni, intese e accordi – e Trump sta svelando quella rete”. Sullo stesso giornale Ben Dror Yemini parla apertamente di tradimento dei curdi da parte del presidente Usa e racconta le discriminazioni subite nel corso dei secoli da questo popolo. “I curdi hanno una storia triste. Nel 1921, sotto il mandato siriano, il paese fu diviso in sei entità diverse, ognuna sotto una bandiera separata. Due di loro erano sunnite (Damasco e Aleppo), uno druso (Stato druso di Jabal), uno alawita (lo Stato alawita nella regione di Latakia), Alexandretta (che i turchi hanno annesso e rinominato Iskenderun) e il Libano (che è diventato indipendente) – ma i curdi sono stati lasciati fuori al freddo”. “La situazione dei curdi – spiega l’analista – è peggiorata sotto il dominio siriano. Hanno subito decenni di discriminazione sistematica e istituzionale come parte del tentativo di arabizzare la regione. L’uso della lingua curda è stato vietato, 120.000 curdi sono stati spogliati della loro cittadinanza, le autorità locali hanno sequestrato loro vaste aree di terra, consegnate in mani arabe e molto altro ancora”. Secondo Yemini, l’autonomia curda emersa nella Siria settentrionale grazie alla recente lotta delle milizie di questa minoranza contro i terroristi di Daesh (Isis) – tutelata fino a poche settimane fa dagli Stati Uniti – avrebbe rappresentato “una parziale compensazione per un’ingiustizia storica”. Ora quella auspicabile compensazione si sta trasformando in una nuova tragedia.
Daniel Reichel