La lunga strada verde di Israele
Negli anni ‘50 del secolo scorso, quando i genitori di Greta Thunberg non erano ancora nati, Israele avviava una rivoluzione verde mai vista fino ad allora. Israele usciva vittorioso, ma provato dalle perdite di tante vite umane (il 10% della sua popolazione), dalla Guerra di Indipendenza, ma i suoi nemici pur sconfitti sul campo non demordevano dall’ostilità verso lo Stato Ebraico. Trattandosi dei grandi produttori di petrolio, gli approvvigionamenti energetici in Israele scarseggiavano. L’Iran dello Scià forniva petrolio, ma il costo era elevato e l’approvvigionamento sempre aleatorio.
La decisione del governo di limitare fortemente i tempi in cui l’acqua poteva essere riscaldata spinse la popolazione israeliana ad acquistare enormi quantità di scaldacqua solari. Nel 1983, il 60% della popolazione scaldava l’acqua delle proprie case con il sole.
Nel 1980, Israele è stata la prima nazione al mondo a rendere il solare termico obbligatorio negli edifici residenziali di nuova costruzione, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza del paese dall’energia importata. L’obbligo si applica a tutti i nuovi edifici, ad eccezione di quelli alti più di 27 metri e di quelli utilizzati a fini industriali o commerciali o come ospedali.
La legge del 1980 ha reso il solare termico in Israele una tecnologia comunemente accettata nel mercato degli scaldacqua, e la sua diffusione ha raggiunto una dimensione tale per cui la crescita si sostiene da sola senza alcun bisogno di sussidi finanziari. Nel 2007, il paese risparmiava circa l’8% del suo consumo di energia elettrica grazie ai sistemi di riscaldamento solare. È utile ricordare che anche altrove nei climi più diversi il sistema è in grado di fornire una percentuale molto elevata (dal 50% al 75%) di energia per il riscaldamento dell’acqua ad uso domestico.
Nel frattempo per soddisfare il proprio fabbisogno energetico il Paese ricorreva ad una serie di grandi centrali elettriche costruite lungo la costa per utilizzare l’acqua del mare per il raffreddamento. Reading vicino a Tel Aviv è forse la più vecchia: risale ai tempi del mandato britannico. Altre centrali, come quella di Hadera, funzionano a carbone, mentre altre come quella di Zikim vicino ad Ashkelon utilizzano il gas. Vicino a Haifa la centrale brucia idrocarburi per produrre energia elettrica. Il passaggio dal carbone al petrolio e al gas ha senz’altro diminuito l’inquinamento di PM10 dovuto alla combustione del carbone, ma non ha diminuito l’impatto dei gas con effetto serra. Le vicende politico militari hanno influito sugli approvvigionamenti: quando, a seguito della Guerra dei 6 giorni, Israele si impadronì della penisola del Sinai, si trovò a disporre di grande quantità di petrolio che veniva dai pozzi di Abu Rhodeis sulla riva del Mar Rosso, a sud del Canale di Suez. Con la pace del 1978 questa fonte si prosciugò, o almeno aumentò di costo, perché l’Egitto, ormai in pace con Israele era disponibile a cedere i prodotti dei suoi pozzi petroliferi a Israele, ma a prezzi di mercato.
Per contenere i costi Israele studia diverse vie: Una di queste, le piscine solari: mira a sfruttare l’abbondanza di radiazione solare unitamente ad una situazione particolare, l’elevata salinità del Mar Morto. Nel 1980 la Ormat, azienda che fabbrica turbine, crea a fianco della costa settentrionale del Mar Morto una piscina di 21 ettari di superficie (nell’immagine). L’idea è brillante: se poniamo dell’acqua in una piscina foderata di teli neri, il colore raccoglie l’energia solare e scalda, dal basso, l’acqua. Ciò che avviene nei tubi dei pannelli solari termici, ma applicato a grandi quantità di acqua (e quindi di accumulo di energia) praticamente senza i costi che si avrebbero se quegli stessi volumi scorressero nei tubi dei pannelli solari. C’è però un problema: una piscina piena di acqua calda disperde il calore accumulato verso l’atmosfera sovrastante. Come coibentare la massa di acqua senza inibire la trasparenza ai raggi solari? Problema di non facile soluzione che fu invece risolto brillantemente. L’acqua del Mar Morto, notoriamente molto ricca di sali è più pesante dell’acqua di mare (Mediterraneo ad esempio). Allora i costruttori della piscina la riempirono con l’acqua del vicino Mar Morto, e ricoprirono quest’acqua ad alta concentrazione salina, con acqua proveniente dal Mediterraneo, fatta scivolare sopra la superficie della massa d’acqua iper-salata. Se l’immissione è fatta evitando turbolenze l’acqua meno salata si stratifica sopra quella più salata senza mescolarsi, creando anche uno strato coibentante, trasparente e decisamente economico. Attraverso lo strato di acqua del Mediterraneo i raggi del sole passano senza problemi e rilasciano la loro energia sulla fodera nera al fondo della piscina. Detto così sembra un giochino, invece funziona e lo strato inferiore (di acqua del Mar Morto) raggiunge (gratis) la rispettabile temperatura di 80° C.
Utilizzando sostanze che vaporizzano a temperature inferiori agli 80°C si ottengono dei gas che possono essere utilizzati per muovere turbine che producano energia elettrica. Sulla superficie di 21 ha la Ormat è riuscita a ottenere una produzione di 5 MW, cioè 5 milioni di watt o 5000 kilowatt. Traguardo rispettabile, ma industrialmente insufficiente .Perché questo? Perché l’efficienza delle turbine è proporzionale al salto termico: Un sostanza che vaporizza a 80° C in un ambiente che per convenzione si suppone a 20°C riesce a fare un lavoro modesto. Interessante come principio, interessante perché senza spese di funzionamento, ma con un campo di applicazione limitato
La piscina solare vicino a Gerico non ha quindi avuto un seguito industriale.
Verso la fine del secolo, probabilmente grazie anche al miglioramento delle tecniche di prospezione, Israele scopre in mare, a 1700 m di profondità e a circa 80 km a ovest di Haifa, un giacimento di gas che viene denominato Tamar (dattero), con 200 miliardi di m3 di gas cui si aggiungevano altri giacimenti circostanti ugualmente ricchi di idrocarburi:Israele diventava energeticamente autonomo. Dopo una quindicina di anni un altro giacimento ancora più ricco veniva scoperto in mare, sempre nella zona di “influenza” israeliana, cioè dove Israele ha il diritto esclusivo di prospezione e sfruttamento: il giacimento Leviathan che potrebbe rivelarsi un fattore di svolta per le relazioni fra Israele e Unione Europea. Le riserve di gas d’Israele confermate sono valutate in circa 455 miliardi di metri cubi, mentre in totale il Mediterraneo orientale ha circa 2.100 miliardi di metri cubi di gas. Il consumo di gas in Europa nel 2017 è stato di 410 miliardi di metri cubi, il che significa che le riserve d’Israele sono sufficienti per rifornire l’Unione Europea.
Si prevede che nel 2020 la produzione israeliana di gas supererà la domanda dell’80% grazie alla produzione di Leviathan 1A. Ciò consentirà a Israele di diventare un esportatore di gas nel Mediterraneo orientale (anche il giacimento Karish, che ha riserve recuperabili per 60 miliardi di metri cubi, è in fase di sviluppo e dovrebbe iniziare a rifornire il mercato interno nel 2021).
Il gas naturale israeliano offre all’Unione Europea la rara opportunità di allentare l’annosa morsa della Russia sull’energia. Mosca usa l’accesso alle forniture energetiche come un’arma politica. Il Bacino del Levante offre all’Unione Europea un’alternativa: una fonte affidabile e competitiva di gas naturale liquefatto.Nel gennaio 2019, Israele Egitto e Cipro hanno annunciato la creazione dell’Eastern Mediterranean Gas Forum, con l’obiettivo di costruire un gasdotto di 1.200 miglia che colleghi all’Europa le abbondanti riserve di idrocarburi del Bacino del Levante passando attraverso Cipro e Creta. La Commissione Europea ha contribuito con quasi 39 milioni di dollari al progetto, che dovrebbe essere completato entro sette anni.
La trasformazione del Mediterraneo orientale in un centro energetico potrebbe avere importanti implicazioni geopolitiche globali. Dopo un incontro a Tel Aviv con i ministri dell’energia di Israele, Cipro, Grecia e Italia, il Commissario europeo per il clima e l’energia Miguel Arias Canete ha dichiarato che il gasdotto aiuterebbe l’Unione Europea a limitare la sua dipendenza dal gasdotto Nord Stream attraverso la Russia. Questo sviluppo ovviamente preoccupa Mosca, perché l’economia russa dipende pesantemente dall’esportazione di risorse come petrolio e gas naturale. La Russia detiene il 54% delle riserve totali di gas del mondo, il 46% del carbone, il 14% dell’uranio e il 13% del petrolio. E garantisce il 37% delle forniture di gas dell’Europa tramite il suo gigante del petrolio e del gas, Gazprom. La dipendenza energetica dell’Europa ha ricompensato profumatamente la Russia.
Il contratto della Russia per l’utilizzo di gasdotti ucraini per il trasporto di gas naturale in Europa è scaduto il 31 dicembre 2019. L’ultima volta che il contratto è stato negoziato, la Russia ha interrotto le forniture di gas per 13 giorni in pieno inverno. Il risultato furono temperature da congelamento nelle case di mezza Europa. Se non viene firmato un contratto e l’Ucraina cessa di essere paese di transito, può darsi che l’Europa non subisca una carenza immediata, ma certamente i prezzi saliranno.
Dieci anni fa, Israele dipendeva dal gas naturale egiziano. Oggi Israele esporta gas naturale sia in Egitto che in Giordania. Sono già stati conclusi accordi per l’esportazione in Giordania ed Egitto del gas di Leviathan Fase 1A. A partire dal 2020 Israele esporterà in Giordania 3 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno attraverso un gasdotto di 65 km. Ma Israele dovrà accedere a mercati aggiuntivi se vuole esportare grandi quantità di gas naturale. Ecco perché una florida relazione energetica con l’Unione Europea è nell’interesse non solo dell’Europea, ma anche di Gerusalemme.
Si tratta di un ribaltamento completo della situazione di Israele: da importatore semiclandestino di petrolio a esportatore verso paesi che erano nemici o indifferenti: una situazione che nemmeno i sogni più rosei potevano far sperare.
Ma oltre ai ribaltamenti politici cui si è appena accennato, Israele ha pensato bene di utilizzare il surplus di energia per creare l’acqua dolce. Qualcuno potrebbe obiettare all’uso della parola “creare” invece si tratta di un’espressione quanto mai appropriata.
Dopo aver esaurito tutte le risorse disponibili naturalmente, con il National Water Carrier (enorme tubo che incanala le acque dell’alta Valle del Giordano verso la piana costiera di Tel Aviv e dintorni e prosegue verso le aride piane del Negev), Israele non aveva più nulla da utilizzare. A questo punto vengono imboccate due strade parallele che si supportano a vicenda. Da un lato il riciclo delle acque reflue. Grandi impianti vicini alle città purificano le acque reflue portandole a livello di potabilità. Non vengono utilizzate per dissetare la popolazione, ma, se, per errore, qualcuno la bevesse non ne sarebbe assolutamente danneggiato. Queste acque sono incanalate in una rete di tubi di color verde (proprio per distinguerle da quelli destinati all’alimentazione) e sono destinate esclusivamente all’irrigazione, che assorbe una notevole frazione dell’acqua disponibile nel Paese. Tutta una serie di accorgimenti sono posti in atto nella coltivazione per diminuire il consumo di acqua. Quindi niente getti di acqua sopra i campi (l’evaporazione sarebbe elevatissima), ma tubi forati per l’irrigazione goccia a goccia. Coltivazioni nelle zone desertiche a Sud del Mar Morto, dove il calore è naturalmente abbondante, risparmiando così i costi di riscaldamento. Per evitare l’evaporazione eccessiva delle piante le coltivazioni avvengono sotto serre speciali: anziché con la plastica trasparente la copertura è di tessuto non tessuto, che diffonde ed in parte scherma la radiazione solare (presente fin all’eccesso) e mantiene l’ambiente se non umido, meno secco che all’esterno. L’irrigazione naturalmente è localizzata goccia a goccia. L’effetto combinato del caldo e dell’irrigazione è impressionante: Piante di peperone alte 2 metri, iperproduttive, albicocchi con frutti avviati alla maturazione già a metà aprile. Tralci di pomodori che raggiungono i 12 metri. Il tutto su superficie di decine di ettari.
Ma se l’approvvigionamento di acqua esaurisce le riserve, Israele si rivolge a quel grande serbatoio di acqua che lo affianca per 200 km: il mare. Peccato sia salato, ma i tecnici del Paese non si scoraggiano. Una serie di enormi stabilimenti costieri trattano milioni di metri cubi di acqua del mare rimuovendo il sale mediante processi di osmosi inversa attraverso membrane semipermeabili: l’acqua del mare diventa bevibile e gradevole (io l’ho assaggiata). Per fare questo ci vuole molta energia, ma grazie ai vari giacimenti sottomarini, questa non manca. In settant’anni di vita Israele da mendicante clandestino di prodotti energetici, satura le sue necessità e diventa addirittura esportatore, mettendosi in concorrenza nientemeno che con la Russia.
Ma la storia non finisce qui. Le fonti energetiche di Israele, come quelle di tutto il mondo, sono a combustione e quindi generano gas serra, con tutti i problemi che ne conseguono.
Come fare a ridurre la dipendenza dalla combustione?Israele ci sta riuscendo: volgendosi al sole.
Già Giosuè stabilì un rapporto speciale con questo astro in occasione della battaglia di Giv’on, ottenendo che restasse fermo nel cielo fino alla fine della battaglia contro i nemici di Israele. Adesso i suoi discendenti stabiliscono un rapporto più…commerciale con questo astro: sfruttano il suo calore di giorno, ma riescono ad estenderne l’utilizzazione anche ad alcune ore della notte.
Su un’estensione di 390 ha di deserto, 50600 eliostati (comandi computerizzati) orientano 450 000 enormi specchi parabolici (nell’immagine in apertura) facendo loro seguire il moto apparente del sole, in modo da concentrarne il riflesso sulla sommità di una torre (alta 260 metri) sulla cui sommità c’è un contenitore di sale. Questo ha un punto di fusione di (cioè diventa liquido a) 800°C e serve come fonte di calore per turbine a vapore che producono elettricità e si mantiene caldo perfino per 4-5 ore anche dopo il tramonto. La capacità produttiva della stazione è di 121 MW (cioè 121 000 kilowatt). La capacità produttiva annua è di 320 GW, cioè 320 milioni di kW all’anno. Rispetto alle piscine solari la capacità produttiva si è moltiplicata per quasi 25 volte! Quando le ulteriori fasi del progetto saranno completate sono previsti tre sistemi di produzione di energia: la CSP (concentration solar power, cioè energia derivata da concentrazione solare), fotovoltaico e gas. quest’ultima è probabilmente necessaria per far funzionare il sistema nei giorni di mancanza di sole. Comunque Israele è uno dei pochi Paesi che, con l’impianto di Ashalim, riesce a raggiungere entro il 2020 il traguardo di coprire il 10% del proprio fabbisogno di potenza con fonti pulite. Altri impianti simili sono previsti nel deserto per raggiungere, entro il 2030 la copertura del 50% del fabbisogno energetico nazionale da fonti pulite. Il sole e il mare due elementi potenzialmente ostili divengono alleati. Come all’uscita dall’Egitto il mare, aprendosi, salvò i figli di Israele, e ai tempi di Giosué, il sole collaborò alla vittoria di Israele: oggi quelle antiche alleanze si rinnovano, aggiornandosi.
Roberto Jona, agronomo