Israele e il governo che non arriva
L’accordo Netanyahu-Gantz a rischio

Schermata 2020-04-13 alle 13.31.11Il governo di unità nazionale sembrava cosa fatta. La scelta di Benny Gantz, leader di Kachol Lavan, di rompere l’equilibrio (e il suo partito) e costruire con l’avversario Benjamin Netanyahu, capo del Likud, un esecutivo insieme sembrava questione di giorni. Ora la certezza di questa intesa sembra traballare o addirittura tramontare: Gantz, orfano dei suoi principali alleati Yair Lapid e Moshe Yaalon, si è scontrato con Netanyahu su alcuni punti (in particolare sulla Commissione Giustizia) e ha chiesto al Presidente Reuven Rivlin un’estensione del suo mandato per formare il governo. Rivlin gli aveva affidato l’incarico a metà marzo quando però Gantz poteva contare sul sostegno di 61 parlamentari della Knesset, la maggioranza. Ora quella base non esiste più, spaccatasi proprio per la scelte del leader di Kachol Lavan di entrare in un governo con Netanyahu, con una rotazione della premiership tra i due. A causa di questo nuovo scenario – e dell’assenza di una maggioranza alle spalle di Gantz – Rivlin ha rifiutato di estendergli il mandato. Anzi, ha dato un aut aut a tutte e due le parti in gioco in questa estenuante trattativa di governo: se non troverete un accordo entro la sera del 13 aprile, il messaggio del presidente israeliano, rimetterò alla Knesset il compito di trovare al suo interno un parlamentare in grado di avere l’appoggio di almeno 61 colleghi su 120 totali. “È stata una mossa sorprendente da parte di Rivlin. – scrive il giornalista Haviv Rettig Gur – Dopo tre elezioni inconcludenti e infinite affermazioni da parte dei due principali candidati a impegnarsi per un governo di unità, soprattutto nel vortice economico e sociale prodotta dalla crisi del virus, il presidente sembra ne abbia avuto abbastanza. Ha informato la 23a Knesset di riunirsi entro 22 giorni per formare finalmente il primo governo a pieno titolo del Paese in 18 mesi oppure di andare a una quarta elezione”. L’opzione inimmaginabile, il ritorno alle urne per la quarta volta, comincia a prendere forma in un’opinione pubblica stanca e preoccupata per gli effetti dell’emergenza sanitaria. Se per Netanyahu una nuova elezione potrebbe essere un vantaggio visto il disfacimento del suo più grande avversario Kachol Lavan (gli elettori di Gantz hanno protestato in piazza contro di lui per la scelta di seguire Netanyahu), la crisi del Covid-19 potrebbe costargli caro per quanto riguarda i consensi. Secondo un sondaggio dell’emittente Kan un mese fa – il 14 marzo -, il 73,4% degli israeliani pensava che Netanyahu stesse “gestendo la crisi in modo responsabile e diligente”. Poco più di quattro settimane dopo, la cifra è scesa al 55,8%. Mentre chi sostiene che il Premier ad interim stia prendendo decisioni sulla crisi del coronavirus “per calcoli politici e interessi personali” è passato dal 21,1% del 14 marzo al 41,8%. Cresce dunque l’insofferenza e nel mentre il virus continua a fare vittime, tra cui l’ex rabbino capo sefardita d’Israele Eliyahu Bakshi-Doron, scomparso all’età di 79 anni e ricoverato quattro giorni fa per Covid-19. “Rav Bakshi-Doron era uno studioso estremamente saggio, con un profondo senso di responsabilità nei confronti di tutto Israele – il ricordo del Presidente Rivlin – un rabbino, un padre e una guida per le comunità israeliane all’interno del Paese e all’estero”.