Netanyahu e Gantz, Premier a turno L’accordo che dà a Israele un governo
Diciotto mesi ciascuno per guidare Israele. Quattordici pagine di un accordo di unità volto a costruire una coalizione ma anche a tutelare entrambe le parti. E ad evitare fregature reciproche. Benjamin Netanyahu e Benny Gantz hanno trovato l’intesa: daranno a Israele il suo 35esimo governo, ponendo fine a una crisi politica senza precedenti, che si trascinava da oltre un anno. Mentre il paese si preparava per ricordare solennemente Yom HaShoah, i due leader si sono incontrati in via Balfour a Gerusalemme – residenza del Primo ministro – per siglare l’accordo di coalizione e scegliere la squadra di governo. “Ne è uscito un mostro a due teste – la valutazione del demografo Sergio Della Pergola, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme, a Pagine Ebraiche – Netanyahu e Gantz saranno la ruota di scorta l’uno dell’altro e guideranno un carrozzone composto da 36 ministri e 16 sottosegretari. Si parla di un governo per affrontare l’emergenza sanitaria ed economica ma mi pare più un sistema di spartizione delle poltrone. Lo dimostra il fatto che, nonostante le tante critiche, il ministro della Salute Yaakov Litzman sia rimasto al suo posto”. Dall’altro lato Della Pergola, molto critico rispetto all’operato di Netanyahu in questi anni, spiega che “a malincuore sono tra quelli che sostengono questa operazione, sperando che ottenga i modesti risultati che si propone”. Perché “l’alternativa sarebbe stata quella di lasciare il campo libero a delle forze reazionarie scatenate che vogliono distruggere il sistema democratico israeliano”.
L’imponente schieramento di ministri è ancora da definire ma alcune certezze ci sono: mentre Netanyahu, leader del Likud, guiderà il paese per i primi 18 mesi, Gantz, a capo di Kachol Lavan, sarà ministro della Difesa; Gabi Ashkenazi, suo secondo, sarà ministro degli Esteri. Alla Giustizia, un altro uomo di Kachol Lavan, Avi Nissenkorn; presidente della Knesset, Yair Levin, un uomo che Della Pergola definisce “moderno Robespierre, molto capace politicamente ma con posizioni estremamente anticostituzionali. È lui che ha condotto le trattative con Kachol Lavan e ha dimostrato abilità nello scroccare giorno dopo giorno nuove concessioni”.
Per Amit Segal, giornalista dell’emittente Arutz 12 e con esplicite opinioni di destra, l’accordo raggiunto dà vita a un matrimonio “che non sarà felice ma costoso” ma almeno ha permesso al paese di uscire, dopo 484 giorni, da una acuta crisi politica. “L’unità è ciò che serve ora alla gente”, scrive Segal, per curare la società e per affrontare l’emergenza legata al coronavirus. “La disoccupazione è schizzata alle stelle: siamo passati dai minimi storici (3,5%) al 26-28%. Ci sono città come Eilat, che si basa sul turismo, dove il 70 per cento è rimasto senza occupazione e davanti abbiamo un futuro economico difficile. – spiega Della Pergola – Anche per questo Netanyahu è arrivato all’accordo, da qui ai prossimi mesi ci sarà una fase di incertezza e serviranno riforme”.
“Perché Netanyahu ha firmato l’accordo? Per due motivi – scrive il giornalista Ben Caspit su Maariv – Sa che la situazione economica è davvero brutta. Non c’è magia che possa spegnere l’enorme incendio che consuma l’economia israeliana sotto i nostri occhi. Ha bisogno di qualcuno con cui condividere la colpa. Per questo hanno inventato Gantz. E inoltre, in tutte le indagini che ha fatto negli ultimi giorni, ha scoperto di non poter formare un governo di minoranza. Niente più disertori”. Netanyahu, sostiene l’esperto giornalista politico israeliano, si è reso conto che l’alternativa era tra elezioni anticipate e governo di unità. Troppo scafato per credere ai sondaggi che ora lo danno in vantaggio, il leader del Likud ha preferito siglare l’accordo con Gantz. Quest’ultimo è stato profondamente criticato in queste settimane per aver deciso di unirsi a Netanyahu, da tutti considerato il grande vincitore di questa estenuante partita. Molti esperti scommettono che il capo di Kachol Lavan non riuscirà ad accomodarsi in via Balfour. Ma se dovesse farcela, scrive ancora Amit Segal, sarebbe il primo ad ottenere un successo là dove hanno fallito Tzipi Livni, Yair Lapid, Shaul Mofaz, Yitzhak Herzog e Shelly Yachimovich: diventare il 13esimo Premier d’Israele. Se dovesse arrivarci, comunque non avrà alle spalle i 32 parlamentari ottenuti da Kachol Lavan il 2 marzo ma solo i 14 che hanno scelto di seguirlo. Le sue mosse in questi mesi saranno decisive per il suo futuro politico. “La cosa stupefacente è che Kachol Lavan, guidato da tre generali (Gantz, Ashkenazi e Moshe Yaalon, tutti e tre ex capi dell’esercito) non abbiano capito la manovra classica di tipo militare da parte di Netanyahu, e cioè lo spezzare il fronte del nemico – afferma Della Pergola – Mi ha ricordato l’azione di Ariel Sharon durante la Guerra del Kippur in cui riuscì a spezzare il fronte egiziano fra la seconda e la terza armata. O se volete, la manovra degli Oriazi sui Curiazi”. In quest’ultimo caso, come è noto, fu una ritirata strategica a far vincere ai primi lo scontro. Resta da capire chi sarà nella battaglia politica israeliana l’Orazio reduce e vincitore.
Daniel Reichel