Vivere in Israele al tempo del virus

Dal confrontarsi con la didattica a distanza e la gestione dei figli a casa alla completa cancellazione del proprio lavoro, dalle innovative proposte del mondo hightech al ritorno del rapporto diretto tra consumatore e agricoltore. Alcuni italkim, gli italiani d’Israele, hanno raccontato come è stato per loro confrontarsi con l’emergenza sanitaria e con gli effetti del lockdown sul proprio lavoro e sulla vita famigliare. A riunire una decina di voci ed esperienze diverse, tutte con un forte legame con Torino, il gruppo della Comunità ebraica tornese Anavim.
Micol e Sara Finzi, Daniela Fubini, Daniele Lanza, Micol Nizza, Elena Ottolenghi, Alice Silva, Michael Sorani e Rebecca Treves hanno raccontato, collegati da tutta Israele, come è cambiata la loro quotidianità a causa della pandemia.
Uno dei temi toccati è stato l’impatto sulla gestione famigliare con i figli di ogni età che improvvisamente si sono trovati a dover fare lezione online. Un tema che anche in Italia ha segnato questi mesi. C’è chi se le cavata meglio e chi peggio, ma la difficoltà maggiore, sottolineano gli intervenuti, è stata con i figli più piccoli: un bambino di pochi anni si stanca subito di stare davanti a uno schermo e questo complica evidentemente la quotidianità dei genitori, in particolare in un momento in cui si era costretti allo smartworking. Dall’altro lato c’è chi, come Daniele Lanza, ha sottolineato una nota positiva: la didattica online ha permesso ad alcuni di entrare maggiormente in contatto con la dimensione scolastica dei propri figli e conoscere più a fondo cosa e come vengono insegnate le materie. Dall’altra parte della barricata, ovvero in qualità di insegnanti, si sono trovate Elena Ottolenghi e Sara Finzi, che hanno spiegato il significato di riorganizzare il proprio lavoro con gli alunni attraverso uno schermo, così come l’iter per il reinserimento a scuola, con classi divise al proprio interno e ingressi alternati a scuola in giorni differente
Chi, come Daniela Fubini, vive nei moshav (comunità agricola cooperativa) ha raccontato di come molte realtà si siano riorganizzate per aiutare i piccoli produttori: il lockdown ha complicato la vita di chi avrebbe dovuto consegnare i propri prodotti ortofrutticoli alla grande distribuzione o esportarli all’estero. Per non essere costretti a gettare chili di frutta e verdura ci si è così organizzati per consegne a domicilio o in alcuni punti prefissati e così si è ricostituito in molti casi il rapporto diretto tra cliente e agricoltore. Tutto gestito a distanza tramite smartphone.
A proposito di tecnologia, Michael Sorani, portando l’esempio dell’azienda Moovit in cui lavora, ha spiegato come l’high tech si sia subito lanciato nel cercare di offrire nuove soluzioni per affrontare l’emergenza o fornirne alcune già in via di sviluppo, reindirizzandole però specificamente per le esigenze legate alla pandemia.
Chi non ha avuto la possibilità di reinventarsi è il mondo del turismo: Alice Silva, lavorando nel settore, ha evidenziato come mesi di lavoro siano stati di colpo cancellati. Con un colpo di spugna un intero mondo è precipitato nella crisi e c’è chi ha dovuto anche gestire e aiutare i turisti nell’iter per il rimpatrio. Far rialzare questo settore, che dà lavoro a decine di migliaia di persone, sarà fondamentale per Israele.
Tante dunque le voci ascoltate, tra difficoltà, sfide ed esperienze positive, che hanno dato un quadro – attraverso una prospettiva molto personale – di come la società israeliana ha reagito a una crisi che lascerà ancora a lungo il suo segno.