Chiusi locali, palestre, parchi pubblici Israele e la nuova ondata del virus
Ancora una volta bar, discoteche, palestre e parchi pubblici saranno chiusi. Questo il piano del governo di Israele che ha dichiarato lo stato di emergenza a causa del progressivo e preoccupante aumento dei casi di coronavirus nel paese (il numero dei contagi ha raggiunto quota 30mila, 332 le persone decedute). Un aumento che ha portato il governo a dichiarare lo stato di emergenza e a tornare sui suoi passi dopo le aperture disposte nelle scorse settimane. E così anche gli eventi culturali e gli spettacoli saranno nuovamente fermati e i parchi saranno chiusi al pubblico. Le spiagge non saranno chiuse, ma potranno essere frequentate solo in determinati orari e con un numero limitato di persone. I ristoranti e i caffè, pur rimanendo aperti, non potranno ospitare più di venti clienti all’interno dei locali (trenta negli spazi all’aperto). Rimarranno aperte anche le yeshivot (scuole religiose) e le sinagoghe ma queste ultime dovrebbero essere limitate a una presenza di massimo diciannove persone. Israele fa dunque i conti con nuove chiusure e, dopo aver in un primo tempo affrontato in modo esemplare la pandemia, si chiede quali errori siano stati commessi. In un’intervista ai media israeliani, l’ex direttore generale del Ministero della Salute, Gabi Barbash, avverte di non scaricare tutte le colpe sul comportamento dei cittadini: “Il pubblico non è esente da responsabilità, ma io sono cresciuto nell’esercito con il detto ‘non ci sono cattivi soldati, ci sono cattivi comandanti’”.
Parlando con il Times Of Israel, Barbash ha criticato aspramente il governo Likud-Kachol Lavan, nato proprio per affrontare l’emergenza sanitaria. Secondo lui, il governo non è riuscito a mantenere le misure di prevenzione e si è spinto troppo in là nell’allentare le restrizioni a fine aprile e inizio maggio, non resistendo alla pressione dell’opinione pubblica. “Di conseguenza hanno preso misure che non avrebbero dovuto prendere”, ha detto. Per l’ex dirigente del ministero della Salute, il governo non avrebbe dovuto permettere gli assembramenti oltre le 10-15 persone in qualsiasi luogo non all’aperto (dalle sinagoghe ai ristoranti). Inoltre, altro problema che a suo avviso ha generato la seconda ondata, la lentezza nei test. “Stiamo ancora aspettando da due a quattro giorni per avere le risposte ai test e non abbastanza persone che risultano positive sono sottoposte a un’indagine da parte di un epidemiologo per rintracciare i loro contatti”. Seppur Israele faccia migliaia di test al giorno, per Barbash i tempi sono ancora troppo lunghi per avere gli esiti e questo scoraggia anche le altre persone a fare gli esami. Ultimo elemento critico a suo dire, l’apertura delle scuole: “Le scuole avrebbero dovuto rimanere chiuse o bisognava permettere solo a 15 bambini di frequentare le classi. I bambini che hanno più di nove anni dovrebbero essere trattati come adulti, e non dovrebbero riunirsi in gruppi di più di 10-15 persone”.