Rivlin e la lezione del 17 di Tamuz
“Le crisi iniziano da piccole crepe,
impariamo a non ignorarle”

“Oggi, 17 di Tamuz, tre settimane prima della distruzione del Bet Ha-miqdash, assistiamo alle prime fasi della frattura. Pensiamo a come iniziano e si sviluppano le crisi. Impariamo a guardare fuori, ad essere consapevoli e a non ignorare le prime piccole crepe. Questo è ciò che questo giorno ci chiama a fare. Ascoltiamo il richiamo e cerchiamo di riparare quelle crepe”. Così il Presidente d’Israele Reuven Rivlin, nel giorno del digiuno del 17 di Tamuz, la data del calendario ebraico in cui si ricorda l’apertura di una breccia nelle mura di Gerusalemme da parte dei babilonesi. Un assedio che si concluse con la distruzione del Tempio e l’inizio dell’esilio il 9 di Av (giorno in cui culmina il periodo di lutto di tre settimane che prende il via proprio con il 17 di Tamuz). “In questo periodo ricordiamo le tragedie che nel corso della storia hanno colpito il popolo ebraico, molte delle quali, secondo i Saggi, sono state causate dal sinat chinam, dall’odio infondato e dalla discordia tra i singoli ebrei e all’interno del popolo ebraico”, ricorda rav Jonathan Sacks in una delle sue lezioni, in cui riflette sul significato dell’identità del popolo ebraico. “La nostra è l’unica civiltà che conosco i cui testi canonici sono antologie di discussioni. I profeti litigavano con D-o, i rabbini litigavano tra loro. Siamo un popolo con opinioni forti – è parte di ciò che siamo. La nostra capacità di argomentare, la nostra diversità, culturalmente, religiosamente e in ogni altro modo, non è una debolezza, ma una forza. Tuttavia, quando ci fa dividere, diventa terribilmente pericoloso perché, mentre nessun impero sulla terra è mai riuscito a sconfiggerci, noi, a volte, siamo riusciti a sconfiggere noi stessi”, spiega il rav, elencando sette principi da rispettare che possono essere d’aiuto per evitare fratture e divisioni. Il primo è continuare a parlarsi. Sacks cita a riguardo il passo della Torah in cui, in riferimento a Yosef e i suoi fratelli, si dice: “Lo yachlu dabro leshalom”, ovvero, “non potevano parlargli in pace”. “In altre parole, dice Reb Yonason Eybeschutz, se avessero continuato a parlare, alla fine avrebbero fatto la pace. Quindi, continuate a parlarvi”, il suggerimento del rav.
Secondo principio, ascoltare l’altro. “Shema Yisrael ci invita ad ascoltarci l’un l’altro in modo che possiamo effettivamente capire ciò che il nostro avversario sta dicendo. Se lo facciamo, scopriamo che non è solo un modo potente per evitare il conflitto, ma anche profondamente terapeutico”.
Terzo principio, impegnarsi a comprendere la posizione di colui con cui siamo in disaccordo. “Ricordate perché la legge segue Hillel rispetto a Shammai. Secondo il Talmud, Hillel era umile e modesto; insegnava le opinioni dei suoi avversari prima ancora che le sue. Si sforzava di capire il punto di vista con cui non era d’accordo”.
“Non cercare mai e poi mai di infliggere la sconfitta agli avversari”, è il quarto principio evidenziato da rav Sacks. “Se si cerca di infliggere la sconfitta all’avversario, questi deve, secondo la psicologia umana, cercare di vendicarsi e di infliggere a sua volta una sconfitta. Il risultato finale è che se vinci oggi, perdi domani e alla fine tutti perdono”.
Il quinto è il classico se vuoi rispetto, dai rispetto. Il sesto è l’idea che, anche nel disaccordo, si è comunque parte della stessa comunità: “Kol Yisrael arevim zeh bazeh”, tutti gli ebrei sono responsabili l’uno dell’altro. Infine il settimo: “Ricordare sempre che Dio ci ha scelto come un popolo. Non ha scelto soltanto i virtuosi, solo i santi o solo le persone davvero devote, ma ha scelto tutti noi. Questo significa quindi che siamo come un popolo al cospetto di Dio, come un popolo al cospetto del mondo. Il mondo non fa distinzioni e allo stesso modo gli antisemiti non ne fanno. Siamo uniti dall’alleanza di una memoria condivisa, di un’identità condivisa, di un destino condiviso anche se non condividiamo una vera e propria fede”.