Virus, israeliani delusi dal governo
aspettano un cambio di rotta

Da una parte il dato sui contagi, che peggiora di giorno in giorno, dall’altra le proteste di piazza contro il governo di Gerusalemme. La società israeliana vive in queste ore momenti molto difficili e le tensioni cominciano a salire a causa della crisi innescata dalla pandemia. Il timore di un nuovo lockdown alle porte non aiuta a calmare gli animi: intervistato da Yedioth Ahronoth, il ministro della Sanità Yuli Edelstein ha dichiarato che le autorità attenderanno i risultati dei prossimi tre o quattro giorni prima di prendere nuovi ed estremi provvedimenti come la chiusura totale del paese. Ma ha anche detto che servirà un miracolo per invertire la rotta in così breve tempo. Di fronte però il governo si trova di fronte migliaia di cittadini arrabbiati per come è stata gestita l’emergenza e disillusi. Migliaia sono scesi in piazza a Tel Aviv e a Gerusalemme nonostante il pericolo coronavirus. In particolare circolano molto in queste ore sui media israeliani le immagini della composita manifestazione davanti alla residenza del Primo ministro Benjamin Netanyahu in Balfour street, a Gerusalemme. C’era chi ne chiedeva le dimissioni per il processo di incriminazione a suo carico e chi era lì per urlare la sua esasperazione per la situazione economica. Nel mezzo, diversi episodi che evidenziano l’alta tensione: scontri tra manifestanti e polizia, attacchi a giornalisti di destra e di sinistra, proteste dai settori haredi per le chiusure di alcune città. Rabbia e confusione che non ricevono una risposta chiara dall’esecutivo, diviso già in partenza e oggi in profonda difficoltà. Gli israeliani al momento, come racconta un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, sono soprattutto delusi: lo è il 45,5 per cento degli intervistati secondo questa indagine, segue un 22 per cento che per descrivere il suo stato d’animo ha scelto la rabbia mentre il 7 si è definito alienato. “Solo una minoranza ha espresso sentimenti positivi nei confronti del governo: soddisfazione (7%), fiducia (7%) e orgoglio (solo 1%). Non ci sono state differenze significative tra ebrei e arabi su questo tema”, spiega l’Israel Democracy Insitute, sottolineando come il gradimento nei confronti del Premier Benjamin Netanyahu sia in picchiata (dal 57 di aprile al 26 di oggi). Il leader del Likud, per uscire dalla situazione, accusa l’alleato di governo Benny Gantz, capo di Kachol Lavan e Premier alternativo (secondo il patto tra i due partiti per cui tra oltre un anno ci sarà un avvicendamento nella leadership) di aver ostacolato l’adozione delle misure necessarie per contenere il contagio. Per parte sua Gantz, attualmente ministro della Difesa, ha chiesto che l’emergenza venga affidata all’esercito. Secondo un membro di Kachol Lavan, citato dai media, Netanyahu dovrebbe prendersi la responsabilità degli errori di policy sul coronavirus e lasciare che sia l’esercito e “il Ministero della Difesa a supervisionare gli sforzi sul campo. Questo non è il momento della politica, o di qualsiasi battaglia che non implichi la riabilitazione dell’economia, della salute (del sistema) e della società”.
Nel sondaggio dell’Israel Democracy Institute non ci sono domande legate a Gantz ma si fa la proposta di Naftali Bennett, leader di Yamina, come possibile incaricato a gestire l’emergenza: per il 40 per cento degli intervistati potrebbe essere lui la persona giusta. Ma, aggiungono gli analisti dell’Istituto, la sensazione è che la richiesta dal basso sia soprattutto per un cambiamento di direzione pur che venga fatto in fretta.
Intanto si continua ad indagare sul perché Israele, dopo aver gestito al meglio la pandemia, si trovi ora ad essere un paese da bollino rosso. In un ampio articolo pubblicato dal Daily Beast la giornalista Noga Tarnopolsky riporta la diffusa teoria che l’apertura della scuola in modo indiscriminato sia stata l’origine dell’esplosione dei contagi. “Contrariamente al nostro consiglio, il governo ha deciso di aprire l’intero sistema tutto in una volta il 17 maggio. Quello che è successo dopo era del tutto prevedibile”, spiega l’epidemiologo Hagai Levine alla Tarnopolsky. Ovvero: il 3 giugno, due settimane dopo l’apertura delle scuole, oltre 244 studenti e personale scolastico sono risultati positivi alla Covid-19. “Oggi, 2.026 tra studenti, insegnanti e personale hanno contratto la Covid-19, e 28.147 sono in quarantena a causa di un possibile contagio”, i dati evidenziati dalla giornalista e pubblicati dal ministero dell’Istruzione israeliano. Secondo l’epidemiologo Levine poi,
“non c’è trasparenza per quanto riguarda le statistiche. I dati non vengono messi a disposizione degli epidemiologi, quindi è impossibile valutare con precisione, ma abbiamo visto molti casi confermati di Covid-19 nelle scuole medie – è molto probabile che sia stata la causa dell’epidemia”. Per la professoressa Galia Rahav, che presiede il dipartimento di malattie infettive dello Sheba Medical Center di Tel Aviv, “quello che è successo nelle scuole è che sono troppo affollate, giorno dopo giorno, e i bambini tornavano a casa e infettavano mamma e papà. Il maggior numero di nuove infezioni è stato nei bambini”. Poi una stoccata all’esecutivo: “Non è certo impossibile che la seconda ondata sia iniziata nelle scuole – l’analisi della dottoressa – La disciplina è a un livello terribile. Sappiamo che gli israeliani hanno una disciplina terribile, ma ora, è la leadership che è completamente incoerente, con un leader che dice una cosa e poi il contrario”.