Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein la firma che cambia il Medio Oriente
Sin dalla sua nascita nel 1948, Israele è stata considerata dai paesi arabi come un corpo estraneo in Medio Oriente. La pace con l’Egitto siglata nel 1979 e con la Giordania del 1994 hanno segnato un cambio di orientamento. Il primo mattone di una legittimazione ancora da costruire. Per farlo, a Israele i paesi arabi hanno sempre chiesto di raggiungere prima un accordo con i palestinesi: normalizzazione dei rapporti in cambio di pace e di uno Stato palestinese, è stato a lungo il mantra ripetuto nelle sale della Lega araba. Gli accordi firmati in questa vigilia di Rosh HaShanah a Washington tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein stravolgono questo dogma: il campo arabo-musulmano cosiddetto moderato accetta Israele come membro legittimo della regione, senza precondizione sui palestinesi, sempre più marginalizzati. “Israele non è mai stata meno isolata di oggi”, ha dichiarato il Primo ministro Benjamin Netanyahu, a margine della storica firma. Una nuova alba per il Medio Oriente, la definizione del Presidente Usa Donald Trump, mediatore della doppia intesa. “Altri seguiranno”, ha sostenuto Trump. “Sette o otto o nove” paesi sono pronti alla normalizzazione dei rapporti con Israele, la sua previsione, facendo rientrare in quel numero anche il “colpo grosso”, l’Arabia Saudita. “Arriverà al momento giusto”, ha detto Trump. Il vento dunque è cambiato, l’analisi condivisa degli analisti israeliani. “Finora, nonostante gli accordi di pace con Egitto e Giordania, lo Stato ebraico, sovrano, è stato considerato dal punto di vista della legge islamica un insediamento straniero illegittimo in un’area quasi interamente musulmana. – spiega Ron Ben-Yishai, tra i più celebrati corrispondenti di guerra e analisti d’Israele nonché firma di Yedioth Ahronoth – L’accordo degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein per la firma delle relazioni diplomatiche ed economiche con Israele è stato fatto con il consenso dell’Arabia Saudita, il leader e il più importante Stato del campo arabo filo-occidentale, quindi gli accordi possono essere visti come la rottura di un tabù storico che fa di Israele uno dei più importanti membri del campo filo-occidentale del Medio Oriente. E questo, come detto, è un passo storico”.
L’accordo prevede, tra le altre cose, l’apertura di ambasciate e la nomina di ambasciatori, il riconoscimento della sovranità delle parti, la risoluzione pacifica dei conflitti tra i Paesi, l’adozione di misure per prevenire attività ostili da parte di altri Paesi, la cooperazione e la comprensione reciproca per promuovere la pace e la stabilità nella regione e l’istituzione di un comitato misto per promuovere la pace e la convivenza. “Ci impegniamo a porre fine al conflitto per offrire a tutti i figli un futuro migliore”, si legge nell’accordo. “Siamo alla ricerca di una visione di pace, sicurezza e prosperità in Medio Oriente e nel mondo”. Tra i paesi state inoltre concordate cooperazioni in diversi settori: economia e commercio, aviazione, turismo, salute, agricoltura, acqua, tecnologia, energia, ambiente, turismo, cultura e sport. Tanti dunque i campi su cui aprire un’importante cooperazione economica, che rafforza un nuovo partenariato in Medio Oriente. Una collaborazione nata su spinta americana – con il lavoro in particolare del Consigliere e genero di Trump Jared Kushner – ma anche grazie al progressivo ritiro degli Stati Uniti dall’area. “Ironia della sorte, è stata la debolezza americana a facilitare gli accordi. – scrive il decano dei giornalisti israeliani Nahum Barnea – I regimi sunniti del Golfo hanno capito che non possono più dipendere dagli Stati Uniti per la loro sicurezza. Trump fa spesso delle minacce, ma sta attento a non attuarle e non ci si può fidare di loro. Ora Israele interverrà per colmare il vuoto lasciato dal presidente e dalle sue politiche”. Anche in funzione anti-Iran. “La maggior parte dei sunniti – sottolinea Barnea – può odiare Israele più di quanto odiano i leader sciiti dell’Iran, ma i loro governanti preferiscono Israele alla Repubblica Islamica”. Altro elemento, spiega invece Ben-Yishai, che ha portato i paesi del Golfo ad avvicinarsi a Israele è il settore high tech. “I giovani governanti dei Paesi arabi si stanno basando su di esso come sostituto del petrolio, il cui valore è in declino come fonte di occupazione e di reddito nei Paesi del Medio Oriente. In parole povere, la forza delle IDF e la forza dell’high-tech israeliano sono le vere ragioni strategiche del cambiamento di posizione del campo arabo moderato, e Netanyahu avrebbe dovuto notare questo fatto in modo prominente e non attribuire esclusivamente a se stesso e alle sue capacità diplomatiche il cambiamento storico, economico, strategico in Israele. Sarebbe stato opportuno dare un po’ più di credito al popolo d’Israele e alle sue capacità in questo senso”, la critica dell’analista al Premier, a cui comunque riconosce il merito di aver portato avanti il dialogo con i paesi arabi in questione.
In tutto questo, rimane aperta la questione palestinese, il vero conflitto che Israele vive quotidianamente, sottolinea Ben-Yishai, e la pace ultima da raggiungere. Netanyahu ha fermato l’annessione dei territori in Cisgiordania e sembra aver messo in soffitta il suo piano a riguardo, nonostante gli annunci. Dal mondo degli insediamenti infatti arrivano diverse e pesanti critiche al Premier, a dimostrazione che anche loro non credono all’annessione. Per la giornalista Tal Shalev, Trump e Netanyahu hanno avuto grandi meriti e forse inconsapevolmente hanno rilanciato la soluzione dei due stati. “Più i Paesi arabi si uniscono ad aprire relazioni con Israele, più alto sarà il prezzo delle mosse unilaterali, più i sogni di annessione a destra andranno in coma profondo e aumenterà la pressione regionale per risolvere il conflitto con i palestinesi. – scrive Shalev – Se Biden sarà eletto, potrebbe ancora diventare chiaro che la celebrazione della pace di Netanyahu e Trump è ciò che ha riportato Israele più vicino a una soluzione a due Stati”.