L’Arabia Saudita guarda a IsraeleL’impervia strada verso un’intesa
Una delegazione israeliana è atterrata in Bahrain nelle scorse ore per promuovere la firma degli accordi di normalizzazione tra i due Paesi. I membri della delegazione sono partiti su un volo diretto della El Al che ha sorvolato l’Arabia Saudita ed è atterrata all’aeroporto di Manama. La diplomazia israeliana spera di poter presto atterrare direttamente anche a Riad. La normalizzazione dei rapporti con il regno saudita è infatti ritenuto l’obiettivo ultimo di questo percorso avviato con gli accordi di Washington tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Riad ha chiarito che per il momento non seguirà gli altri due paesi del Golfo, ma senza il suo benestare le due intese siglate alla Casa Bianca non sarebbero state possibili. Per questo uno storico accordo sotto la luce del sole tra Riad e Gerusalemme non è da escludere nel prossimo futuro. Ma prima il governo saudita, guidato dal principe Mohammed bin Salman, dovrà lavorare sulla propria opinione pubblica. Come riporta la stampa israeliana e americana, l’Arabia Saudita sta infatti spingendo per cambiare la percezione pubblica degli ebrei, avviando una complicata campagna di sensibilizzazione verso una comunità a lungo utilizzata come capro espiatorio dall’establishment religioso e dai media del regno.
“I libri di testo scolastici, un tempo noti per aver denigrato gli ebrei e altri non musulmani come ‘maiali’ e ‘scimmie’ sono in fase di revisione come parte della campagna del principe ereditario Mohammed bin Salman per combattere l’estremismo nell’istruzione”, riporta l’Agence France-Presse. All’agenzia di stampa francese, l’analista saudita Najah al-Otaibi spiega che Riad “ha anche deciso di proibire la denigrazione di ebrei e cristiani nelle moschee”. “La retorica antiebraica era comune nelle preghiere in moschea del venerdì degli imam, usate per rivolgersi ai musulmani di tutto il mondo”, ha confermato al-Otaibi. Diverse sono le iniziative messe in campo per portare avanti questa sensibilizzazione, a partire dalla visita ad Auschwitz a cui ha preso parte il saudita Muhammad bin Abdul Karim Issa, Segretario della Lega musulmana mondiale dal 2016, intervistato da Pagine Ebraiche a riguardo nel numero di luglio. Una visita percepita come una significativa apertura.
A inizio settembre, l’imam della Grande Moschea della Mecca, lo sceicco Abdul Rahman al-Sudais, ha tenuto un sermone sull’importanza del dialogo nelle relazioni internazionali e sull’essere gentili verso i non musulmani, menzionando in particolare gli ebrei. Il sermone, ricorda l’Associated Press, si è concluso con l’invito a non dimenticare la causa palestinese, ma le sue parole hanno generato scalpore e rabbia sui social media sauditi. Le piattaforme come Facebook e Twitter sono un buon termometro – per quanto approssimativo – per capire i sentimenti dell’opinione pubblica e sui social i sauditi hanno dimostrato di non volere un accordo con Israele. Quando è stata annunciata l’intesa tra Dubai e Gerusalemme in agosto, l’hashtag di maggior tendenza in Arabia Saudita era contro la normalizzazione dei rapporti. Questo considerando che nel paese la libertà di espressione è fortemente limitata.
“Parte del processo che tutti i Paesi del Golfo stanno attraversando lungo la strada della normalizzazione è prima di tutto spingere i legami stretti tra musulmani ed ebrei e poi muoversi più audacemente verso la discussione su Israele e il Golfo”, ha spiegato Marc Schneier, rabbino americano con stretti rapporti con i governanti del Golfo, tra cui l’essere stato consigliere del re del Bahrein. Secondo Schneier in ogni caso, “quando si parla di stabilire relazioni tra l’Arabia Saudita e Israele, è una questione di ‘quando’, non di ‘se’”. Ma per arrivarci anche un autocrate come Mohammed bin Salman ha bisogno di un certo grado di sostegno popolare. Secondo un sondaggio del Washington Institute for Near East Policy condotto in Arabia Saudita, solo il 9% degli intervistati si è detto a favore di instaurare contatti commerciali o sportivi con Israele. I passi dunque da fare sono molti, ma per Bin Salman, messo in panchina sul piano internazionale dopo il brutale omicidio del giornalista Jamal Kashoggi, la strada verso Gerusalemme è un’opportunità per ripresentarsi al mondo come la figura che vuole stabilizzare il Medio Oriente. Dopo l’infruttuosa e violenta guerra aperta in Yemen, lo scontro irrisolto con il Qatar, il conflitto sempre aperto con l’Iran e ora con la Turchia, il principe saudita vede in Israele un possibile punto di svolta e il grimaldello per riaprire la porta della Casa Bianca. A prescindere da chi uscirà vincitore il prossimo 3 novembre tra l’attuale presidente Usa Donald Trump e lo sfidante Joe Biden. “Che sia Trump o Biden ad essere eletto, Israele potrebbe molto probabilmente spianare la strada del ritorno a Washington al principe ereditario Mohammed”, scrive su Haaretz l’analista Zvi Bar’el. Da qui l’impegno ad aprire i cieli ai voli israeliani e le altre iniziative saudite.
Daniel Reichel