Israele, il lockdown si fa più severo
Governo diviso sulle misure

Misure ancora più severe rispetto al lockdown di marzo-aprile sono state approvate nelle scorse ore in Israele. Una decisione che descrive la gravità della situazione nel paese in merito all’elevato numero di contagi, ma che crea delle spaccature all’interno dello stesso governo. A una settimana dall’imposizione di un nuovo lockdown, l’esecutivo di Gerusalemme ha così deciso per un ulteriore giro di vite a partire da venerdì e fino alla fine delle solennità ebraiche (Simchat Torah). Nonostante l’opposizione del commissario responsabile per la gestione della crisi sanitaria, Ronni Gamzu, del ministro delle Finanze Israel Katz e del governatore della Banca d’Israele Amir Yaron, tutte le fabbriche e i servizi “non essenziali” saranno chiusi durante il lockdown. I servizi per la preghiera all’aperto e le proteste saranno ora limitati a gruppi fino a 20 persone e non ci si potrà allontanare dal proprio domicilio per più di un chilometro. In particolare, in base a un compromesso raggiunto nella notte, le sinagoghe chiuderanno a partire da venerdì, ma saranno aperte a capacità limitata e con i fedeli divisi in piccoli gruppi per le 25 ore di celebrazione dello Yom Kippur, per poi chiudere di nuovo lunedì sera. Per quanto riguarda le proteste – che vanno avanti da settimane e hanno come bersaglio il Primo ministro Benjamin Netanyahu – saranno permesse anche a Gerusalemme, nei pressi della residenza del capo di governo, ma limitate a duemila persone. Come per le preghiere e le proteste in altre parti del Paese, anche le manifestazioni in via Balfour (l’abitazione del Premier) saranno divise in gruppi da 20 persone che si terranno a due metri di distanza l’uno dall’altro. Per poter partecipare, inoltre, i manifestanti dovranno avere il domicilio a non più di un chilometro di distanza da via Balfour, nel centro di Gerusalemme.
Le nuove misure sono dunque particolarmente restrittive e vanno a toccare la libertà religiosa, la libertà di manifestare e incideranno in modo significativo sull’economia. Dopo la decisione del governo, il commissario Gamzu ha ribadito che la sua raccomandazione al governo era di inasprire la chiusura, ma non di imporre ampie restrizioni come poi è stato deciso. Il responsabile per la gestione della crisi sanitaria ha però sottolineato come più si chiude, più l’aumento della morbilità sarà arrestato (nelle ultime 24 ore ha toccato nuovamente quota 7000). “Questo è un messaggio per l’opinione pubblica, se il governo ha raggiunto una chiusura così ermetica, la morbilità è davvero diffusa”, le parole di Gamzu. A mali estremi, estremi rimedi. Ma la preoccupazione per le conseguenze economiche per la nuova versione del lockdown sono diffuse e divido il governo.
“È possibile prendere provvedimenti per tenere a freno la malattia senza danneggiare criticamente le fabbriche e le imprese del settore privato, quelle che non sono aperte al pubblico e che sono attente ad obbedire alle linee guida del Ministero della Salute”, le parole del ministro delle Finanze Israel Katz, riportate dai media locali. “La resilienza economica di Israele fa parte della sua resilienza nazionale; anche questa deve essere protetta”, ha aggiunto. L’economista capo del Ministero delle Finanze Shira Greenberg ha avvertito il gabinetto del Coronavirus che le nuove misure potrebbero costare all’economia israeliana circa 35 miliardi di Shekel (10 miliardi di euro).
Per il Primo ministro Benjamin Netanyahu la chiusura è stata necessaria e inevitabile. “Un danno all’economia potrebbe esserci, non lo nego, ma è qualcosa che possiamo sopportare. – le sue parole riportate da Yedioth Ahronoth – Ma se facciamo un errore in termini di infezioni e raggiungiamo lo scenario spagnolo, il danno sarà maggiore. Non voglio diventare come la Spagna, svegliatevi, abbiamo superato tutti i paesi. Nazioni che non hanno i nostri numeri hanno chiuso molto prima”.
Secondo l’opposizione, dal centrista Yair Lapid (Yesh Atid) all’esponente di destra Ayelet Shaked (Yamina), Netanyahu ha deciso per la chiusura totale solo per riuscire a limitare le manifestazioni contro di lui e non tenendo conto dei danni economici. Il procuratore generale Avichai Mandelblit ha infatti spiegato ai ministri che ogni limitazione ai diritti di manifestazione poteva essere applicata solo con una chiusura generalizza più severa. Per questo, secondo i suo avversari, Netanyahu avrebbe scelto la strada più netta. Voci delle bandiere nere – così si definiscono i manifestanti che contestano il Premier – hanno rilanciato queste accuse ma un sostenitore delle proteste e influente giornalista, Ben Caspit, li ha invitati a ragionare e a non tornare a radunarsi uno accanto all’altro. Ha parlato di “stoico disprezzo per quello che succede in giro” in Israele e li ha invitati a continuare a manifestare ma rispettando le distanze.
La percentuale di nuovi pazienti da coronavirus è molto alta ed è in aumento: quasi il 12% dei test sono positivi, con picchi del 26% in alcuni settori haredi. Perché la chiusura venga ridotta o eliminata il dato dei nuovi positivi dovrà scendere al 7%.

Daniel Reichel