Israele, il governo
pensa a un altro commissario
Malumori e scontri interni tra le autorità che hanno in carico la gestione della pandemia non semplificano il percorso di Israele per uscire dall’emergenza sanitaria. Mentre i dati dei positivi, nonostante il secondo lockdown, continuano ad essere alti (9mila nelle ultime 24 ore), si parla di un possibile addio da parte del Commissario per il coronavirus, Ronni Gamzu (nell’immagine a sinistra, con il ministro della Sanità Edelstein, a destra). Secondo i media locali infatti l’esperto, direttore dell’Ospedale Hichilov di Tel Aviv, avrebbe deciso di lasciare a fine mese il suo incarico, in aperto contrasto con alcuni membri del governo, tra cui il Premier Benjamin Netanyahu. In particolare Gamzu in privato avrebbe criticato la decisione dell’esecutivo di imporre un secondo blocco totale al paese, esprimendo contrarietà per la mossa e sostenendo che l’inasprimento delle restrizioni fosse dettato da motivi politici. La sua convinzione, raccontano i media locali, è che il Premier abbia scelto la via della chiusura totale per arginare le proteste contro di lui. Da settimane infatti nei pressi della residenza del Primo ministro a Gerusalemme i manifestanti sfilano per chiederne le dimissioni. Nonostante l’acuirsi della crisi sanitaria, il loro diritto a manifestare è stato tutelato, ma ora la situazione è cambiata. Il bilancio dei contagi ha portato Israele ad essere tra i paesi con il più alto numero di positivi in proporzione alla popolazione. Il governo ha quindi optato per il lockdown e, negli scorsi giorni, ha deciso di limitare di molto il diritto a manifestare. “Il diritto alla salute attualmente supera il diritto di manifestare. Una volta che l’economia tornerà ad attività parziale, le manifestazioni torneranno come prima, entro poche settimane”, ha spiegato il ministro della Giustizia Avi Nissenkorn di Kachol Lavan.
Per Gamzu invece le misure adottate sono troppo drastiche e sarebbe possibile applicarle in modo mirato. Il commissario per il Coronavirus, riporta il Canale 13, avrebbe detto al gabinetto di sicurezza di non ritenere giustificato il blocco totale dell’economia. Una “riduzione del 50%” dell’attività economica avrebbe prodotto il risultato sperato, pur prolungandolo per un periodo di tempo più ampio. L’idea di Gamzu, espressa ai giornalisti, era “inasprire l’isolamento, e non chiudere l’intero Paese”. Posizioni non ascoltate dall’esecutivo che ora, in particolare su decisione del Likud, vuole sostituirlo con Moshe Bar Siman-Tov, fino alla scorsa primavera direttore generale del ministero della Sanità. Allora il dirigente aveva rassegnato le dimissioni perché il gabinetto per il coronavirus aveva votato, contro il suo parere, un ampio allentamento delle misure di prevenzione contro il contagio in tutto il paese. Sentito dal sito ynet, Bar Siman-Tov avrebbe dato la sua disponibilità a tornare e lavorare per fermare la pandemia in Israele. Una crisi che ha portato il bilancio delle vittime ad oltre 1500 e con 810 persone ricoverate in gravi condizioni.
A preoccupare intanto i servizi assistenziali è un problema sociale meno evidente ma comunque significativo generato dal nuovo lockdown: lo stress mentale prodotto dalla pandemia. Il 42% della popolazione, secondo l’Istituto di statistica israeliano, ha segnalato uno stato d’ansia in questa seconda ondata del virus, contro il 33% della prima. L’organizzazione Eran, che fornisce servizi di primo soccorso emotivo attraverso un numero verde, ha registrato picchi di 1200 telefonate giornaliere in questo periodo. “Non mi sono alzato dal letto per due giorni, ho pianto”, dice K., 30 anni, da Gerusalemme, descrivendo a Galit Adut del sito Hamakom quello che ha passato a fine agosto. “Le depressioni e le ansie sono nuove per me. L’incertezza di ciò che mi accadrà domani mi colpisce. Avrei dovuto tenere quattro incontri questa settimana, ma fino all’ultimo minuto non sapevo se si sarebbero svolti. Non so cosa sta succedendo nella mia vita, fa paura e non fa che intensificarsi”. Un sentimento che rischia di diffondersi a macchia d’olio nel paese, vista la situazione d’incertezza e i danni economici della nuova quarantena.