Dall’Iran ai palestinesi,
il futuro d’Israele
con Joe Biden alla Casa Bianca

Il risultato non è ancora definitivo, ma tutte le proiezioni concordano nell’indicare il candidato democratico Joe Biden come futuro presidente degli Stati Uniti. E anche Israele e tutto il Medio Oriente si preparano a questa evenienza, analizzando cosa vorrebbe dire un cambio alla guida della Casa Bianca nella regione. “Indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali americane, gli Stati Uniti continueranno a percorrere la strada dell’isolazionismo. Noi israeliani dobbiamo fare di più per stare in piedi da soli e difendere i nostri interessi vitali. Come Stato forte e sovrano, possiamo farlo”, scrive l’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren su Israel Hayom. Parlando della coppia Biden-Kamala Harris, Oren, membro del Likud e molto vicino al Premier israeliano Benjamin Netanyahu, la inquadra come favorevole a Israele. Sia Biden sia Harris hanno una storia personale e politica di grande vicinanza allo Stato ebraico. L’ex ambasciatore Usa in Israele Dan Shapiro, parlando di Biden, ricorda il trentennale legame che c’è fra il candidato democratico e Netanyahu. “Hanno una vera amicizia, è genuina ed è personale. Hanno dei disaccordi, naturalmente, e ne parlano apertamente, e a volte intensamente. Ma il suo approccio sarà quello di lavorare con chiunque il popolo israeliano abbia scelto, e – conclude Shapiro – credo che sarà in grado di lavorare con Netanyahu con successo”. In particolare, il giudizio comune è che Biden darà seguito ad alcune iniziative portate avanti da Trump: non riporterà, ad esempio, l’ambasciata Usa da Gerusalemme a Tel Aviv; e si impegnerà nel proseguire il cammino degli Accordi di Abramo, ovvero della normalizzazione dei rapporti tra Israele e una parte del mondo arabo. “Non c’è ragione per cambiare direzione”, sottolinea a Pagine Ebraiche l’analista di Yedioth Ahronoth Ben Dror Yemini, secondo cui il nuovo equilibrio mediorientale – con Emirati Arabi Uniti e Bahrein dalla parte d’Israele – non cambierà, anzi nuovi paesi potrebbe comunque aggiungersi. “Sarebbe – sottolinea Yemini – nell’interesse di tutti, anche degli Usa”. Potrebbe però raffreddarsi la strada che da Gerusalemme porta a Riad. Trump, nonostante il caso Kashoggi (il giornalista ucciso su ordine dei vertici sauditi), ha sempre mantenuto rapporti stretti con il principe reggente saudita Mohammed Bin Salman, inviso invece a molti esponenti democratici. La sua amministrazione, facendo pressione su Riad, in periodo pre-elettorale aveva fatto capire che la normalizzazione storica tra Israele e Arabia Saudita sarebbe stata solo una questione di tempi. Ora però “l’accordo con i sauditi, che doveva avvenire sotto l’amministrazione Trump, sarà quantomeno ritardato”, la previsione di Zvi Yehezkel, esperto di Medio Oriente, in una conversazione su Radio 103FM. “Se i sauditi volevano normalizzare i rapporti con Israele era per fare un regalo a Trump, ma bisogna sentire come parlano ora, – afferma Yehezkel – dicono che Trump doveva essere più serio e che le elezioni per lui dovevano rappresentare una passeggiata. È difficile per i regimi non democratici capire questo metodo”, le elezioni. Ma è un’altra questione quella che i diversi opinionisti considerano centrale: l’accordo sul nucleare iraniano. Qui il giudizio di Yehezkel è tra i più duri nei confronti di Biden: “La vittoria di Biden significa la continuazione del dominio degli ayatollah in Iran. E questa non è una buona notizia per la regione”. Ovvero: Biden tornerà a negoziare con Teheran, cercando di rimettere in piedi l’intesa sul nucleare siglata da Obama e cancellata da Trump. Così facendo farà nuove concessioni al regime degli Ayatollah, rafforzandolo, la tesi di Yehezkel. Per Ron Ben Yishai, pluripremiato analista israeliano e firma di Yedioth Ahronoth la situazione però non è così lineare. “Sia Trump che Biden sono interessati ad un accordo nucleare rielaborato con gli iraniani e alla cessazione della loro produzione di missili e allo stop delle loro azioni nella regione. – scrive Ben Yishai – Entrambi sono molto preoccupati per gli ultimi sviluppi che stanno emergendo dalla Repubblica Islamica riguardo alla produzione atomica”. Per l’analista, l’idea che il regime di Teheran – pur in grave difficoltà tra coronavirus e crisi economica – sia sul punto di crollare è però errata. E proprio per questo, chiunque dovesse sedere alla Casa Bianca cercherà di trovare una nuova intesa ed evitare uno scontro armato. “Sembra che sia Trump che Biden siano disposti a raggiungere un compromesso per togliersi di dosso la questione iraniana nei prossimi anni. Entrambi sono disposti ad attenuare le richieste statunitensi sugli sviluppi nucleari e missilistici dell’Iran e sulle sue operazioni segrete nell’area”. Entrambi, la lettura di Ben Yishai simile a quella dell’ambasciatore Oren, avranno nei prossimi anni una tendenza più isolazionista e saranno meno disposti ad avere gratta capi in Medio Oriente. Ma il nodo Iran, che per tornare al tavolo vuole molte concessioni, non sarà facile da sciogliere. “Israele – sottolinea la firma di Yedioth Ahornoth – deve essere doppiamente sicuro che chi finisce nello Studio Ovale non scenda a compromessi con gli iraniani nell’ambito dei suoi interessi di sicurezza nazionale e di quelli delle nazioni arabe moderate sunnite”.
L’altro grande tema della prossima presidenza sarà ovviamente la questione palestinese, sempre più in basso nelle agende internazionali. “Con Biden alla Casa Bianca ai palestinesi tornerà il colore sulle guance”, afferma Yehezkel. I rapporti diplomatici infatti con un presidente democratico tra Ramallah e Washington verrebbero ristabiliti integralmente. “Verrebbe riaperta l’ambasciata palestinese a Washington, chiusa da Trump, e il consolato americano a Gerusalemme est, che prima di Trump era l’ambasciata di fatto degli Stati Uniti per i palestinesi. L’amministrazione rinnoverà ulteriormente gli aiuti americani all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, l’Unrwa, e ad altre istituzioni palestinesi tagliate fuori da Trump”, scrive l’ambasciatore Oren, aggiungendo che con Biden la Casa Bianca “ritornerebbe anche ad opporsi alla costruzione israeliana in Giudea e Samaria, così come nella Gerusalemme unificata, che considera un ‘ostacolo alla pace’”.
Durante la campagna elettorale, Biden ha promesso di “rilanciare i palestinesi”, ma ha criticato il presidente palestinese Mahmoud Abbas per non essersi fatto avanti “quando se ne presenta l’occasione”. Dopo la decisione di Netanyahu di congelare l’annessione annunciata di alcuni territori in Cisgiordania in cambio della normalizzazione con Bahrein e Emirati, Biden ha dichiarato: “L’annessione è ormai fuori discussione, il che è una buona cosa”. Secondo l’ambasciatore Shapiro, il candidato democratico “vorrà assicurarsi che tutte le parti facciano tutto il possibile per sostenere la fattibilità della soluzione dei due Stati ed evitare di fare qualcosa che renda più difficile il compito. Per i palestinesi questo significa [fermare] l’incitamento, i pagamenti ai terroristi e la delegittimazione di Israele, e per Israele significa [fermare] espansione degli insediamenti e annessione”. Il tema palestinese non sarà però all’ordine del giorno, e, scrive Haaretz, a Ramallah lo sanno. Ma anche a Gerusalemme, per questo Oren, invita il governo a lavorare in autonomia per rinsaldare i rapporti con i paesi arabi, usando come collante la comune avversione per la minaccia iraniana. Gli Stati Uniti del 2020, almeno secondo gli analisti, sono più lontani dal Medio Oriente e la Casa Bianca avrà altre priorità nel prossimo futuro. “È probabile che il presidente sarà riluttante a prendere decisioni impopolari su questioni fatali per paura della reazione dell’opinione pubblica, soprattutto sui social media. – scrive Ben Yishai, senza fare riferimento a Biden o Trump – Un presidente che non gode della fiducia e del sostegno dell’opinione pubblica è un’anatra zoppa, soprattutto quando si tratta di affari esteri e di sicurezza. I russi, i cinesi e gli iraniani lo capiscono e cercano di aumentare la sfiducia nelle autorità americane – soprattutto nel presidente – e di rendere più profonda la divisione tra la gente con un flusso di “notizie false” dirette ai social media americani. Ma un’America debole è un incubo per la sicurezza di Israele”. E non solo.

Daniel Reichel