“Pollard, ti aspettiamo in Israele”

Dopo oltre trent’anni, il giorno tanto atteso da Jonathan Pollard è arrivato. La fine della libertà condizionata e la possibilità di lasciare gli Stati Uniti per Israele. Presto inizierà infatti per lui un nuovo capitolo, dopo aver passato metà della vita in carcere con l’accusa di spionaggio a favore di Israele.
“Abbiamo sentito il suo dolore per tutti questi anni e abbiamo sentito la responsabilità e l’obbligo di arrivare alla liberazione di Jonathan Pollard”, ha commentato il Presidente d’Israele Reuven Rivlin, affermando che il paese “aspetta lui e la sua famiglia a casa”. Dall’ufficio del Premier Benjamin Netanyahu è stata invece diffusa una nota in cui si afferma che “Il primo ministro si è impegnato per il rilascio di Pollard per molti anni e ha lavorato instancabilmente per il suo ritorno”.
Pollard, che ha oggi 66 anni e che dal 1995 è cittadino israeliano, fu riconosciuto colpevole di aver divulgato il contenuto di alcune migliaia di documenti classificati come “segreti” sulle attività di intelligence svolte dagli Stati Uniti, principalmente nel mondo arabo. L’incursione di Israele dell’ottobre 1985 nel quartier generale di Tunisi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, azione in cui furono uccise circa 60 persone, fu ad esempio pianificata con informazioni di Pollard, secondo documenti della Cia desecretati nel 2012. Malgrado la solida amicizia tra i due paesi, la sua vicenda è rimasta a lungo un punto d’attrito tra i governi di Washington e Gerusalemme, a qualunque bandiera o colore politico essi appartenessero.
I leader israeliani cercarono già negli anni Novanta di inserire la liberazione di Pollard all’interno delle trattative dei colloqui di pace in Medio Oriente. I servizi di sicurezza Usa hanno però sempre contrastato ogni tentativo di liberazione. Nel 1990 il direttore della Cia dell’epoca, George J. Tenet, avvertì il Presidente Bill Clinton che se avesse optato per la scarcerazione si sarebbe dimesso. “I suoi crimini erano gravi, il danno che ha inflitto era reale, e la scarsa capacità di giudizio di Israele nel perseguire l’operazione ha indubbiamente danneggiato il nostro rapporto bilaterale, ma questo caso e la controversia appartengono a una generazione precedente”, ha dichiarato al Washington Post Stephen Slick, ex capo del dipartimento della CIA a Tel Aviv. “Pollard è stato adeguatamente punito per i suoi crimini, e il suo caso serve da utile deterrente per gli alleati che potrebbero essere tentati di trarre vantaggio dalle relazioni di sicurezza bilaterali con gli Stati Uniti – ha aggiunto Slick – Sarebbe sorprendente se gli attuali leader della comunità dei servizi segreti esprimessero una forte opinione sul destino di Pollard”. Destino cambiato nel 2015 con la notizia della sua scarcerazione, con cinque anni di libertà vigilata da scontare. In questo periodo, l’ex spia è rimasta sotto stretta osservazione, con un braccialetto elettronico per detenuti da portare e il divieto di lavorare per qualsiasi azienda che non avesse un software di monitoraggio del governo statunitense sui propri sistemi informatici. Ovviamente anche qualsiasi viaggio all’estero era vietato.
Lo scorso anno Pollard aveva fatto appello direttamente a Netanyahu affinché chiedesse al Presidente Trump che la sua pena venisse ridotta perché potesse recarsi in Israele assieme alla moglie, sposata durante il periodo passato in prigione. Lo sconto non è arrivato, ma ora ai due sarà possibile trasferirsi in Israele. “Jonathan ed Esther hanno intenzione di venire in Israele, ma non possono farlo immediatamente, a causa dei trattamenti chemioterapici di Esther”, ha spiegato uno degli avvocati di Pollard all’emittente Kan. “Hanno intenzione di farlo non appena le sue condizioni lo permetteranno. Vogliono tornare a casa”.

Daniel Reichel