Dalle ambasciate alle città d’Israele,
il rischio di un attacco iraniano

Se, come e quando l’Iran risponderà all’uccisione del capo del suo programma nucleare, Mohsen Fakhrizadeh. Sono le tre questioni attorno a cui vertono le analisi dei media israeliani e internazionali in queste ore, dopo l’eliminazione a Teheran di Fakhrizadeh. Il regime degli Ayatollah ha accusato apertamente Israele di aver ucciso il suo scienziato e promette vendetta. Da Gerusalemme non sono arrivate conferme ufficiali e il ministro israeliano Tzachi Hanegbi ha dichiarato di “non avere idea di chi sia stato” ad uccidere lo scienziato iraniano. Diverse ricostruzioni giornalistiche sostengono che dietro l’eliminazione di Fakhrizadeh ci sia l’intelligence israeliana. Già nel 2018 definito dal Premier israeliano Benjamin Netanyahu una minaccia da ricordare (nell’immagine il suo discorso all’Onu a riguardo). “Il mondo dovrebbe ringraziare Israele per averlo eliminato”, la dichiarazione raccolta dal New York Times di un alto funzionario israeliano, rimasto anonimo, in merito alla missione. Missione che, oltre a togliere di mezzo una figura chiave del programma nucleare iraniano, avrebbe come scopo principale quello di allontanare la possibilità che il Presidente eletto Joe Biden riporti gli Stati Uniti al tavolo con l’Iran. “Gerusalemme vuole ostacolare qualsiasi rinnovo dei legami diplomatici tra l’Iran e l’amministrazione entrante di Biden, che ha indicato che cercherà di rientrare nell’accordo nucleare del 2015, dal quale il presidente uscente Donald Trump si è tirato indietro nel 2018. – spiega l’analista militare di Yedioth Ahrnoth Ron Ben-Yishai – I leader iraniani sospettano che l’assassinio di venerdì sia una provocazione da parte di Israele per costringere l’Iran a rispondere, concedendo così a Trump la scusa, a quanto pare cercata, di attaccare le strutture nucleari iraniane prima di lasciare la Casa Bianca”. Secondo Ben-Yishai il regime di Teheran si trova dunque in una situazione scomoda. Da una parte vuole vendicarsi immediatamente per essere stato colpito per l’ennesima volta al cuore. Dall’altra, ogni azione iraniana rischia di scatenare una reazione Usa-Israele decisamente superiore e complicare ogni possibile ritorno al negoziato con Biden. “Questa situazione mette sotto pressione la leadership iraniana tra richieste di vendetta interna e un desiderio più pragmatico di migliorare le relazioni con l’Occidente”, sottolinea il Canale 12 israeliano. Chi chiede vendetta è il giornale iraniano Kayhan, vicino all’ayatollah Khameini, che ha invocato un attacco contro la città israeliana di Haifa, suggerendo azioni contro strutture sensibili d’Israele e invocando “pesanti perdite umane”. Alla radio militare dell’esercito Galei Zahal, l’ex generale Amos Yadlin, ha evidenziato come “l’Iran ha un intero scenario di possibili risposte, tra cui attaccare le ambasciate israeliane. Possono anche prendere di mira scienziati e individui israeliani, con i missili di precisione a loro disposizione”. Per questo Israele ha alzato i livelli di allerta in molte sedi diplomatiche sparse per il mondo. Il timore è che diventino un bersaglio anche le comunità ebraiche. La strage del centro ebraico di Buenos Aires del 1994 è un tragico esempio delle operazioni terroristiche di Teheran nel mondo.
Secondo Ben-Yishai la minaccia potrebbe invece concentrarsi sul Mar Rosso. “Il regime di Teheran sa di essere compromesso in termini di intelligence interna, così come in Siria e in Iraq. Un attacco – se fosse pianificato – verrebbe probabilmente da sud, usando i ribelli Houthi nello Yemen per eseguirlo, magari prendendo di mira una nave israeliana nel Mar Rosso o lanciando un missile contro la città meridionale di Eilat”. “I leader iraniani – aggiunge l’analista – hanno dimostrato la loro capacità di essere pazienti e calcolatori nelle loro risposte. Di conseguenza, le agenzie di intelligence israeliane hanno mobilitato le loro risorse, così come l’esercito, per rispondere a qualsiasi attacco che potrebbe essere imminente”.

dr