Israele, l’esperienza di Aner “Test sul vaccino, perché partecipo”
“Perché lo hai fatto? Sei impazzito?”. Sono le domande che Aner Ottolenghi si è sentito porre con una certa frequenza da amici, parenti, conoscenti quando hanno scoperto la sua scelta di fare da volontario per la sperimentazione umana del vaccino israeliano per il Covid-19. “Molti mi hanno sostenuto, ma a tante persone ho dovuto spiegare che no, non sono impazzito. Per me partecipare a questa sperimentazione è entusiasmante: questo è il mio campo, sto facendo un dottorando in immunologia all’Università Ben Gurion e ho avuto la possibilità di passare dalla scienza teorica che facciamo nei laboratori alla pratica”, racconta Ottolenghi a Pagine Ebraiche. “In più, qualcuno doveva pur farlo. In una società umana è sempre richiesto un certo grado di sacrificio di una parte per il tutto. È come l’esercito: ci arruoliamo per metterci al servizio della sicurezza di tutti”.
Assieme ad Aner altri 79 volontari stanno partecipando a questa prima sperimentazione sull’uomo del vaccino BriLife (nome composto da Briut, salute, Il per Israele, e Life, vita), sviluppato dall’Israel Institute for Biological Research. Ogni volontario, dai 18 ai 55 anni, ha ricevuto un’iniezione. Ad alcuni è stato somministrato il vaccino, ad altri il placebo. I volontari non sanno quale dei due hanno ricevuto.
“Prima di farmi partecipare, mi hanno fatto un check-up completo per verificare che non avessi malattie, e di non aver contratto in precedenza il coronavirus. Ho avuto il via libera e ho preso parte alla sperimentazione, che in questa fase serve soprattutto per vedere che il vaccino non abbia effetti collaterali. L’efficacia verrà testata nella prossima fase”.
Da scienziato, Ottolenghi spiega di essere pienamente consapevole dell’iter per la produzione dei vaccini. “Al momento il vaccino sviluppato più velocemente ci ha messo dieci anni per entrare in commercio. Qui parliamo di un anno. È un miracolo: a livello globale ci si è resi conto di cosa significhi investire nella scienza che è al servizio dell’umanità e salva le vite”. Per Aner, così come per molti scienziati, questa pandemia globale ha fatto emergere emozioni ambivalenti: “Da una parte il mio lavoro è emozionante. Senti di far parte di un cambiamento epocale, del progresso scientifico. Dall’altro, ti rendi conto del pericolo e della sofferenza”. La preoccupazione è rivolta alla famiglia, ai genitori, ai nonni, ma il suo sguardo è anche all’Italia. “Noi siamo di origine italiana, abbiamo doppia cittadinanza: mio nonno Aldo ha lasciato il Piemonte a causa delle Leggi razziste per fare l’Aliyah nella Palestina mandataria. Abbiamo ancora un legame forte con il paese, anche se io parlo poco l’italiano. Avevo programmato di venire in Italia proprio quest’anno, ma la pandemia ha bloccato tutto. E mi si è spezzato il cuore a vedere le immagini di cosa è accaduto nella prima ondata da voi”. Una prima ondata che invece ha risparmiato Israele. “Abbiamo chiuso subito tutto e siamo riusciti a contenere bene il contagio. Poi però, quando abbiamo riaperto, c’è stata una sottovalutazione generale: le persone si sono riunite, i matrimoni sono stati celebrati così come altre feste, tutto è stato riaperto in fretta e alla fine abbiamo chiuso nuovamente l’intero paese”. Per evitare terze ondate, sottolinea Ottolenghi, è di primaria importanza informare in modo chiaro tutti i cittadini, con costanza e pazienza. “Anche qui come in Italia abbiamo i novax e i complottisti, anche se penso in misura minore che da voi; queste voci estreme sono rumorose, ma credo molto minoritarie. Il problema è parlare a tutti coloro che sono preoccupati e scettici perché non hanno informazioni. Questa pandemia sta rieducando l’intera società, abbiamo imparato a mettere la mascherina, a tenere la distanza, l’abbiamo fatto in fretta ma molti interrogativi sono rimasti aperti”. E qui che si inserisce il dubbio e la stanchezza delle persone, che rischia di diventare rabbia. In Israele non ancora, ma in Italia, raccontiamo ad Aner, c’è chi è arrivato ad inseguire un’ambulanza per dimostrare che “è tutta una finzione”.
“È fondamentale instaurare fiducia. Da noi c’è nella scienza, molto meno nella politica, ma in ogni caso è fondamentale costruire un rapporto di fiducia e rispondere alle domande della gente, anche sui vaccini, anche a chi pensa che sia pazzo perché faccio la sperimentazione”. Una buona informazione aiuterà a rendere efficace qualsiasi piano per la vaccinazione anti-Covid, sottolinea Aner, che ovviamente spera che Israele – e lui nel suo piccolo – possa dare un contributo importante in questo campo.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche Dicembre 2020