Emirati e Israele d’accordo, l’Unrwa ha il destino segnato
È il momento di chiudere l’Unrwa, l’agenzia della Nazioni Unite dedicata alla questioni dei rifugiati palestinesi. È quanto chiedeva nel 2017 il Primo ministro Benjamin Netanyahu, incontrando l’allora ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley. “Le ho detto che è il momento di riconsiderare l’esistenza dell’agenzia”, spiegava Netanyahu. Una richiesta rafforzatasi in quel periodo a causa di una scoperta dell’esercito israeliano: un tunnel del terrore costruito da Hamas sotto due sue scuole elementari di Gaza gestite proprio dall’Unrwa. Emersa la notizia, l’agenzia aveva denunciato il fatto, ma per il governo di Gerusalemme quel tunnel – arma di Hamas per infiltrarsi in Israele e compiere attacchi terroristici – rappresentava l’impossibilità di fidarsi dell’ente Onu. “Dalla Seconda guerra mondiale ci sono stati e tutt’ora ci sono milioni di rifugiati che fanno riferimento all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati mentre solo per i palestinesi è stata creata un’agenzia separata”, evidenziava Netanyahu, chiedendo di far confluire la seconda nel primo. A tre anni da quell’appello, anche nel mondo arabo alcuni paesi hanno prestato orecchio e gli Accordi di Abramo potrebbero influenzare il futuro dell’ente.
In quest’ottica, non ha aiutato l’Unrwa lo scandalo del 2019 quando Pierre Krähenbühl, da cinque anni alla direzione, rassegnò le dimissioni dopo che un’inchiesta interna evidenziò, sotto la sua guida, “abusi di potere per fini personali, repressione del dissenso interno, intimidazioni, rappresaglie, scarsa moralità, bullismo, favoritismi e mala amministrazione”. Un biglietto da visita poco edificante. Intanto gli Stati Uniti di Trump l’anno precedente – nel gennaio 2018 – avevano deciso di agire, dimezzando i fondi all’Unrwa e chiedendo che venisse attuata una netta riduzione del numero di palestinesi riconosciuti come rifugiati, facendoli passare da più di 5,5 milioni, compresi i discendenti, a meno di un decimo di quel numero (nel 1949, data della creazione dell’agenzia, i rifugiati palestinesi riconosciuti erano 750mila). Nel agosto 2018 Washington aveva fatto un passo ancor più severo, sospendendo del tutto il suo contributo in attesa di una riforma dell’Agenzia e della definizione di un “giusto numero” di rifugiati palestinesi. L’ambasciatrice Haley aveva invitato poi altri paesi arabi, tra cui Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, a farsi carico dei costi dell’agenzia, a cui è affidato di pagare le scuole e i servizi essenziali per i palestinesi in Cisgiordania e Gaza, così come in Giordania, Siria e Libano. Se la protesta delle autorità palestinesi era per certi versi scontata, anche in Israele non tutti si erano detti favorevoli al taglio dei finanziamenti. L’ex portavoce dell’esercito israeliano, il tenente colonnello in pensione Peter Lerner, disse che, nonostante i difetti ampiamente riconosciuti dell’Unrwa, tagliare “in modo brusco farà sì che la situazione vada fuori controllo. Non è un bene né per Israele né per i palestinesi”.
Una vera destabilizzazione non c’è stata, soprattutto perché Riad e Abu Dhabi si sono inserite e hanno cercato di coprire quanto sospeso dagli Stati Uniti. Ora però anche gli Emirati potrebbero tirarsi indietro. E qui è la novità, raccontata dal quotidiano francese Le Monde. “I funzionari degli Emirati stanno valutando un piano d’azione per eliminare gradualmente l’Unrwa, senza subordinare questa mossa alla risoluzione del problema dei rifugiati. – scrive Le Monde – In questo modo, Abu Dhabi si schiererebbe a favore di una posizione da tempo presa da Israele, per cui l’agenzia ostacola la pace, nutrendo i rifugiati del sogno di ritornare nella terra da cui i loro genitori furono cacciati nel 1948”. A dimostrazione di questa scelta degli Emirati, viene evidenziato come, a differenza del 2018 e del 2019, il paese del Golfo non abbia dato quasi nulla all’Unrwa. Per il momento i diplomatici emiratini non hanno dato risposte ufficiali, spiega Le Monde, secondo cui: “Una cosa è certa. Non si potrà tornare indietro. Sta emergendo un nuovo asse strategico, con il quale i Paesi del Medio Oriente dovranno imparare a fare i conti”. E anche i palestinesi.
Daniel Reichel