I Della Rocca, da duemila anni (con orgoglio) “benè Romì”
Ricordo bene l’emozione del giorno in cui, appena adulto, cominciai a spulciare nell’archivio della comunità per ragguagliarmi sulle origini della famiglia Della Rocca. Nessuno come noi ha il culto delle proprie origini, e gli ebrei che si ritrovano a leggere queste pagine lo sanno bene. Dunque non ci potrà stupire più di tanto di fronte a un ragazzo che, a un’età in cui di solito si hanno in testa tutt’altre cose, sacrifica per un po’ esperienze ed emozioni d’altro genere e preferisce mettersi a rovistare nella storia della sua famiglia. Sono nato a Roma il 1 novembre 1933, il 12 di Cheshvan 5694 secondo il calendario ebraico, da Elisabetta Moscati e Rubino Della Rocca. Ciò che volevo scoprire era soprattutto a quando risalisse l’insediamento della mia famiglia paterna a Roma, se provenisse da Eretz Israel, la Terra Promessa, dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, o vi fosse giunta nel 1492 con l’espulsione degli ebrei dalla Spagna. Un’infantile soddisfazione mi gonfiò il petto: i Della Rocca frequentavano Schola Nova e Schola Tempio – due delle Cinque Sinagoghe, o Cinque Scholae, ognuna con i propri riti specifici in base alla provenienza, sorte a Roma nel 1555 quando papa Paolo IV, su esempio di quanto accaduto una ventina di anni prima a Venezia, aveva ordinato che anche a Roma gli ebrei fossero confinati in un apposito ghetto – entrambe di rito italiano o benè Romi, cioè “figli di Roma”. E questo significava una cosa ben precisa: la famiglia di mio padre era giunta qui dalla terra d’Israele. Come ho potuto apprendere in seguito dalle mie letture, l’appartenenza a una sinagoga piuttosto che a un’altra non riguardava e non determinava solo il rito o le musiche sinagogali, ma gli usi e i costumi, diversi da famiglia a famiglia. Si arrivava a certo, rigido e paradossale senso di esclusività, tanto che una famiglia di origine italiana poteva non volersi imparentare con una di origine spagnola, preferendo non avervi niente a che spartire. In Olanda, al tempo del filosofo Baruch Spinoza (1632-1677), una famiglia ebraica di origine spagnola o di alto lignaggio non avrebbe mai concesso in sposa la figlia a un giovane, magari benestante e di bell’aspetto, ma aschenazita, proveniente cioè dall’Europa centro-orientale, nella gran parte dei casi dalla Polonia. Appartengo dunque a una famiglia che vive a Roma da duemila anni.
Rav Vittorio Della Rocca, Chiedi a tuo padre e te lo dirà, ed. Salomone Belforte