“Indagine Corte penale internazionale,
solo propaganda contro Israele”

La Corte penale internazionale (Cpi) ha stabilito di avere giurisdizione su Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, aprendo la strada a un’inchiesta internazionale contro Israele e il gruppo terroristico di Hamas per presunti crimini commessi in quei territori. “Quando la Corte penale internazionale indaga su Israele per falsi crimini di guerra, questo è puro antisemitismo. La Corte ignora i veri crimini di guerra e persegue invece lo Stato di Israele, uno stato con un forte governo democratico che santifica lo stato di diritto, e non è un membro della Cpi”, la secca replica del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La decisione dei giudici dell’Aia, presa con due voti favorevoli su tre, mette ora la palla in mano alla procuratrice della Cpi Fatou Bensouda. In un parere emesso alla fine del 2019, proprio Bensouda sosteneva ci fossero gli estremi per indagare Israele rispetto a presunti crimini commessi durante la guerra del 2014 contro Hamas (anche indagato), durante le manifestazioni al confine tra Gaza a partire dal marzo 2018 e in generale con la politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. “La decisione della Corte penale internazionale dell’Aia di permettere che Israele sia indagato per i crimini di guerra che avrebbe commesso a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est è infondata, ma anche pericolosa, e dovrà essere contrastata. – spiega sul sito Walla il giurista Eitan Gilboa, esperto di diritto internazionale – È infondata perché il tribunale può interrogare solo i paesi che hanno firmato il Trattato di Roma che lo ha istituito, e Israele, come gli Stati Uniti e altri 70 paesi, non ha firmato il trattato e non ha aderito al tribunale. Questi paesi temevano che, come la maggior parte delle istituzioni dell’ONU, sarebbe stato un tribunale politico, di parte e distorto, come in effetti è stato”. Gilboa spiega che il tribunale, istituito nel 2002, nasce con il compito di indagare gravi crimini contro l’umanità da parte di paesi che non perseguono i propri cittadini per questi stessi crimini. “Il caso israelo-palestinese non soddisfa nessuna di queste condizioni, e quindi la decisione di permettere una causa e un’indagine contro Israele costituisce una palese violazione delle regole e delle procedure del tribunale stesso”. Inoltre, il giurista si chiede come mai non siano state aperte indagini sul regime siriano, sulle azioni commesse in Siria da Russia e Iran, sulle azioni russe in Crimea e in Cecenia, sugli Huthi e l’Arabia Saudita in Yemen.
Secondo Gilboa inoltre c’è un rischio concreto per i rappresentanti d’Israele di poter continuare a svolgere le proprie funzioni regolarmente all’estero. “Il procuratore, Bensouda, può convocare personalità come primi ministri, ministri della difesa, ufficiali militari e alti funzionari per un interrogatorio. Naturalmente si rifiuteranno, e allora lei potrà emettere mandati d’arresto contro di loro. – scrive il giurista – Presumibilmente, i 122 paesi firmatari del Trattato di Roma dovranno eseguire tali ordini, il che causerà gravi danni pratici e d’immagine a Israele”.
Per Nick Kaufman, avvocato difensore presso la Cpi ed ex procuratore distrettuale a Gerusalemme, sarà difficile che l’indagine porti al risultato che si attende l’Autorità palestinesi, che ha gioito per la decisione della Corte sulla giurisdizione. Ad Haaretz Kaufman ha spiegato che le indagini saranno condotte di fatto solo contro i vertici militari e politici ma che per l’accusa sarà difficile ottenere le prove “che collegano i decisori con i presunti crimini commessi”. Solo allora, l’accusa potrà chiedere alla corte di emettere mandati di arresto. E, secondo Kaufman, potrebbero passare “molti anni” prima che tali mandati vengano emessi, se non mai.
I funzionari israeliani, riporta Israel Hayom, si incontreranno nei prossimi giorni per discutere la strategia da adottare contro l’inchiesta della Corte. E bisogna tenere presente che la procuratrice Bensouda è al termine del suo mandato, per cui ci potrebbero essere ulteriori ritardi. Sul tavolo della diplomazia israeliana, scrive Israel Hayom, c’è in ogni caso la discussione se cambiare l’attuale orientamento di rifiuto di cooperare con la Cpi. Le parole del ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi non sembrano presagire questa intenzione. Il provvedimento sulla giurisdizione “distorce lo scopo della CPI, – ha dichiarato Ashkenazi – che è diventata uno strumento politico per la propaganda anti-israeliana. Questa sentenza premia il terrorismo palestinese e il rifiuto dell’Autorità palestinese di perseguire i negoziati con Israele”. Ad essere d’accordo con i rappresentanti israeliani, gli Stati Uniti di Joe Biden. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price ha infatti sottolineato che “Israele non è uno Stato parte dello Statuto di Roma. Continueremo a sostenere il forte impegno del presidente Biden nei confronti di Israele e della sua sicurezza, compresa l’opposizione alle azioni che cercano di colpirla ingiustamente”.

Daniel Reichel