Gran rabbinato d’Israele,
un secolo di storia

“La Rabbanut avrà un impatto in virtù dei suoi sforzi costanti per riunire le persone, per infondere uno spirito di armonia tra tutti i partiti e le fazioni, e per rafforzare la Torah e il suo rispetto in Terra Santa e in tutto il mondo”. A scriverlo, rav Abraham Isaac Kook (1865-1935), quando nel 1921 veniva nominato alla guida del Gran rabbinato israeliano. Un secolo fa, il rav, primo rabbino capo ashkenazita di Eretz Israel, delineò quali dovessero essere i principi dell’istituzione che quest’anno celebra i suoi cento anni di storia. Un anniversario a cui in Israele sono dedicati diversi approfondimenti, con riflessioni sul ruolo del rabbinato nel paese, su quali elementi mantenere, quali riformare, sul suo rapporto con il pubblico.
La sua struttura affonda le radici nell’impero ottomano. Qui ogni comunità religiosa aveva un tribunale per regolare le questioni interne: gli ebrei erano governati secondo la Halakha, le comunità cristiane dalla loro legge canonica e i musulmani dalla shari’a. Questi tribunali, chiamati millet, gestivano le tasse e avevano giurisdizione su qualsiasi procedimento che coinvolgesse i propri membri, compresi il matrimonio e il divorzio. Il capo politico e religioso del millet ebraico nella Palestina ottomana era conosciuto come Rishon LeZion (“Primo di Sion”).
Quando i britannici presero il posto dei turchi dopo la prima guerra mondiale, applicarono elementi della common law britannica nell’area, ma continuarono a concedere autonomia su questioni di status personale agli undici tribunali delle comunità etnico-religiose della Palestina mandataria. Il Rishon LeZion, rav Ya’akov Meir, divenne il rabbino capo sefardita e servì accanto a rav Kook, la sua controparte ashkenazita, stabilendo un modello che è arrivato fino ai giorni nostri.