La visita del ministro Lapid a Rabat
“Con il Marocco, storiche opportunità”

Sul finire del 2020 il Marocco si è unito ai paesi pronti ad aprire (in questo caso riaprire) un canale diretto con Israele. Rabat aveva infatti annunciato la normalizzazione dei rapporti con Gerusalemme grazie a un’intesa mediata dagli Stati Uniti. La Casa Bianca allora guidata da Donald Trump in cambio aveva riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. Con questo passaggio, Israele si era assicurata rapporti ufficiali e diretti con un altro stato arabo e musulmano. Il quarto in pochi mesi, dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan. In queste ore il ministro degli Esteri Yair Lapid raccoglie i frutti di quell’apertura, arrivando a Rabat per una missione che lui stesso definisce “storica”. Del resto era dal 2003 che un alto funzionario israeliano non si recava in visita ufficiale in Marocco. “Questa visita storica – le parole di Lapid – è una continuazione dell’amicizia di lunga data e dalle profonde radici e tradizioni tra la comunità ebraica marocchina e la grande comunità di israeliani con origini in Marocco”. Un riferimento all’oltre milione di israeliani di origine marocchina, che hanno mantenuto uno stretto rapporto con il paese nordafricano. “Sarà un momento per costruire iniziative politiche ed economiche. Continueremo a lavorare per accordi che porteranno innovazione e opportunità ai nostri paesi”, ha dichiarato il ministro, che a Rabat aprirà un ufficio diplomatico e incontrerà il collega agli Esteri Nasser Bourita, ma non il re Mohammed VI.
Quest’ultimo ha dovuto fare i conti con le reazioni di islamisti e altro oppositori locali, contrari alla normalizzazione dei rapporti con Israele.
Tra Rabat e Gerusalemme, a differenza che con altri paesi musulmani, rapporti diplomatici ci sono stati in passato. Costruiti negli anni degli accordi di Oslo, i legami tra i due paesi si erano molto raffreddati dopo il 2000, con l’esplosione delle violenze palestinesi note come seconda intifada. In questi anni non ci sono stati molti scambi: gli israeliani di origine marocchina – circa 250mila persone – potevano recarsi in Marocco, ma non direttamente. Adesso invece sono stati creati voli diretti, simbolo di un legame rinnovato. Anche se non privo di ostacoli, come dimostra la decisione del Premier marocchino Saad-Eddine El Othmani, capo del partito islamico Giustizia e Sviluppo, di non incontrare Lapid. Una mossa spiegata come segno di solidarietà ai palestinesi, a cui la diplomazia israeliana non ha replicato. Anche perché nel frattempo nuove intese di collaborazione e cooperazione fra i due paesi vengono firmate. “La normalizzazione con il Marocco ha già aiutato Israele a reclamare di recente uno status di osservatore nell’Unione africana, – ha spiegato Nimrod Goren, presidente di Mitvim, istituto israeliano per le politiche estere regionali- e potrebbe portare a un maggiore impatto israeliano nel Mediterraneo, promuovere la partecipazione congiunta Israele-Marocco a programmi dell’UE, sostenere canali di dialogo politico israelo-palestinese di alto livello, e permettere alle aziende israeliane di far parte della cooperazione commerciale marocchino-emiratina”.
Il sito economico Globes è andato anche a vedere quale impatto potranno avere gli scambi con Rabat. Secondo l’Israel Export Institute il potenziale delle esportazioni annuali verso il Marocco è di circa 250 milioni di dollari. Per il momento, spiega Globes, le esportazioni israeliane di beni verso il paese africano nella prima metà del 2021 ammontavano a 13,2 milioni di dollari, rispetto agli 8,1 milioni di dollari della prima metà del 2020. Cifre ancora ridotte, ma con un ampio margine di crescita.
I giornalista diplomatico Yossi Verter raccontava alcuni mesi fa invece come è nato il riallaccio dei rapporti tra Marocco e Israele, facilitato dagli Accordi di Abramo (quelli siglati con Emirati e Bahrein), ma non strettamente legato ad essi. All’inizio del 2018 al parlamentare di Yesh Atid Ram Ben Barak – a lungo uomo dell’intelligence israeliana – era stato chiesto se fosse in grado di facilitare l’arrivo di un messaggio agli Stati Uniti: l’amministrazione Trump sarebbe disposta a riconoscere la sovranità marocchina sulla regione del Sahara occidentale? A chiederlo, un amico di Ben Barak – almeno nella ricostruzione di Verter -, di casa in Israele come in Marocco. E soprattutto, molto vicino al governo di Rabat. Da qui l’inizio della trattativa, con la partecipazione dell’ex direttore generale del ministero degli Esteri israeliano Dore Gold e il via libera dell’allora Premier Netanyahu. Per far arrivare il messaggio a Washington viene chiesto al Marocco come contropartita di ristabilire pieni rapporti diplomatici con Israele. L’amico di Ben Barak va a Rabat e torna con un sì: il re è d’accordo. Tutto sembra filare liscio, e il treno diplomatico viene messo sui binari, poi però i rapporti si interrompono bruscamente. Due anni dopo, gli Accordi di Abramo riportano in voga quei contatti. Al lavoro ci sono protagonisti diversi. E intanto si arriva all’annuncio di Trump: gli Usa riconosceranno il Sahara Occidentale come marocchino, il Marocco riconoscerà Israele. Ben Barak si era sfilato da quella trattativa, ma oggi, quasi a chiudere il cerchio, è tra i protagonisti della visita a Rabat: in qualità di presidente della commissione per gli Affari esteri e la Difesa, ha infatti accompagnato Lapid in Marocco.

dr